Si avvicinano i due anni dall’inizio della presidenza Biden e già ci si chiede chi saranno i contendenti alle elezioni presidenziali del 2024, dopo che i democratici hanno perso il controllo della Camera “pareggiando” al Senato visto che le elezioni di ballottaggio in Georgia del 6 dicembre hanno assegnato il seggio ai democratici. Una sconfitta, ma anche una “mezza vittoria”, visto che nel voto di midterm di solito è sfavorito il partito al potere e i democratici hanno sicuramente contenuto i danni rispetto alle ipotesi della vigilia.
La sessione del Congresso che ora si chiude (nel 2020 era appunto a maggioranza democratica) aveva tra l’altro voluto una commissione d’inchiesta sull’assalto al Campidoglio di due anni fa mettendo sotto accusa Trump e imputandogli di aver istigato le violenze.
L’America ha una lunga tradizione nel formare commissioni di inchiesta in cui si discutono, apertamente e pubblicamente, determinati eventi. Tali commissioni sono naturalmente bipartisan ed hanno sempre incluso rappresentanti di tutte le diverse parti politiche. Il leader repubblicano Kevin McCarthy (californiano) nel giugno 2021 nominò cinque rappresentanti repubblicani per la Commissione: Jim Banks, dell’Indiana, Rodney Davis dell’Illinois, Jim Jordan senatore dell’Ohio, Kelly Armstrong del North Dakota e il texano Troy Nehls.
I democratici rifiutarono di accettare due dei membri proposti – cosa senza precedenti parlamentari – e per protesta McCarthy ritirò le nomine di tutti e cinque.
Per mantenere la Commissione formalmente bipartisan, i democratici allora invitarono due repubblicani nemici giurati di Trump: Liz Cheney, la figlia del vice-presidente Dick Cheney che Trump ha molto criticato in passato per gli errori fatti in Iraq, e Adam Kinzinger. Quindi la Commissione era interamente composta da nemici di Trump, ignorando di fatto la “difesa” dell’ex presidente.
D’altra parte democratici non avevano altre vie d’uscita. Infatti se avessero accettato i componenti repubblicani avrebbero rischiato di vedersi ritorcere contro – in un potenziale dibattito serrato – alcuni aspetti di quei fatti, come la mancanza di presidio di polizia al Campidoglio, una riapertura del pericoloso dibattito sul voto per posta e con il rischio di essere accusati di inefficienza per molte altre manifestazioni violente avvenute negli ultimi anni in Usa in stati controllati dai democratici e di fatto sostenute, almeno nelle prime intenzioni. L’esempio dei tumulti scatenati dai Black Lives Matter, per esempio, rischiano di mettere in difficoltà i democratici nel mantenimento dell’elettorato bianco.
Accusare Trump di non accettare il responso del 2020 in sé non ha e non aveva molto senso quando, per esempio, per anni i democratici non hanno acettato il verdetto elettorale delle presidenziali del 2000 per lo scrutinio dei voti in Florida che fecero vincere George W. Bush per 370 voti, scatenando infinite proteste anche di piazza.
Ne è uscita quindi una commissione “politica”, e così sono anche le decisioni finali, che non hanno valore giuridico, ma sono importanti per i riflessi sulla potenziale prossima candidatura di Trump.
Da una parte ora Trump si consolida nella quota di elettori che lo ritengono “vittima” dei democratici, dall’altra l’esito rafforza quella parte di voto repubblicano che non vuole Trump candidato.
Certamente nessun vero supporter di Trump smetterà di votarlo per le conclusioni dell’inchiesta, mentre forse farebbe comodo proprio agli stessi democratici una candidatura Trump per mobilitare un elettorato francamente deluso dal biennio Biden. La Commissione ha infatti distolto una parte del dibattito politico americano da quello sull’attuale inquilino alla Casa Bianca con molti elettori anche democratici che considerano il presidente un candidato modesto per il 2024, sia per l’età che per il poco spessore dato alla sua presidenza, mentre è politicamente scomparsa la vice-presidente Kamala Harris.
I repubblicani pensano di poter battere Biden, ma con Trump sarà difficile: contavano di vincere anche al Senato lo scorso novembre, invece hanno perso. L’aver poi perso in alcuni stati-chiave con il solito voto postale ha riaperto le polemiche su questa forma di voto che diventa essenziale per il futuro, quando i voti al Senato sono ora alla pari (50 repubblicani ed altrettanti democratici) e proprio il voto della Harris è determinante, tenuto conto che la Costituzione americana affida la presidenza del Senato alla vice-presidente dell’Unione.
Situazione di massima incertezza, quindi, proprio quando inizia la seconda parte del mandato di Biden.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI