Le ultime vicende relative al vaccino AstraZeneca sono all’altezza di un romanzo di John le Carré. Ieri la Commissione Ue e il governo inglese hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta in cui si impegnano a “creare una situazione win-win”, vantaggiosa per tutti, sulla fornitura dei vaccini anti-Covid. Ma la realtà è che l’Unione ha perso la partita, la Gran Bretagna ha i vaccini e partirà prima di noi. “Londra ha ottenuto l’obiettivo a cui puntava, l’immunità di gregge nel 2021. Mentre l’Europa non ce la farà” dice al Sussidiario Paolo Quercia, docente di Studi strategici nell’Università di Perugia.
I fatti. L’Ue è senza vaccini AstraZeneca e accusa l’azienda di non rispettare gli accordi di produzione. Non producendo nei 5 stabilimenti pattuiti ma in uno solo (Halix, a Leida, Olanda), si verificano le sottoconsegne lamentate dalla Commissione. Dopo che il commissario Breton ha visitato gli impianti a Leida, il 20 marzo la Commissione chiede al governo italiano un’ispezione nello stabilimento Catalent di Anagni, dove i Nas scoprono 29 milioni di dosi in giacenza prodotte da Halix. La Stampa viene a saperlo e fa lo scoop. Sulla base di fonti Ue, il quotidiano sostiene che le dosi sarebbero dirette in Gran Bretagna e paesi Covax (programma di fornitura a paesi poveri). Una nota di Palazzo Chigi di ieri sostiene invece che le dosi di Anagni sono dirette in Belgio.
Secondo La Stampa è probabile che milioni di dosi abbiano preso la via del Regno Unito prima dell’entrata in vigore del regolamento Ue per il blocco dell’export (1° febbraio). Va detto – scrive il quotidiano torinese – che “l’Ema non ha autorizzato lo stabilimento di Halix perché AstraZeneca non ha fornito tutti i dati necessari”.
“Al momento non sono previste esportazioni oltre ai paesi Covax” ha replicato AstraZeneca in una nota. “Ci sono 13 milioni di dosi di vaccino in attesa di rilascio del controllo qualità per essere inviate a Covax come parte del nostro impegno a fornire milioni di dosi ai paesi a basso reddito: il vaccino è stato prodotto al di fuori dell’Ue e portato nello stabilimento di Anagni per essere riempito in fiale”. Secondo la multinazionale anglo-svedese 16 milioni di dosi sono destinate a paesi Ue e “quasi 10 milioni” saranno consegnate entro fine marzo, il resto ad aprile. Questi, in sintesi, gli elementi della vicenda.
Secondo le fonti Ue riportate dalla Stampa il ritardo di AstraZeneca nel fornire i dati necessari all’autorizzazione dell’Ema deriverebbe dal proposito di garantire una corsia preferenziale al Regno Unito. Come commenta questa supposizione?
È un sospetto grave, ma non ho elementi per confermare. Diciamo che tutto il processo di acquisizione dei vaccini, la contrattualistica e lo stesso processo autorizzativo europeo sono stati estremamente caotici e assolutamente poco trasparenti. Gli interessi in gioco sono enormi, per cui non mi sento di escludere nulla. Quando ci si muove in emergenza e nel caos fidarsi della buona fede è esso stesso un atto di fede.
La Ue ieri ha introdotto un meccanismo di controllo dell’export extra-Ue mediante clausole di reciprocità (dal Regno Unito non arrivano vaccini in Europa) e proporzionalità. È la mossa giusta?
Mi pare un intervento piuttosto tardivo. Ma sopratutto dimostra che l’Unione ha trattato male con le multinazionali farmaceutiche e che queste hanno firmato contratti superiori alle loro capacità produttive. Ma pur non essendo le aziende in grado di rispettare le forniture stabilite, l’Unione non riesce a far rispettare i patti. È la dimostrazione del fallimento di una strategia troppo basata sull’approccio di mercato. E ora l’Unione cerca di riportare il gioco sul piano politico, inserendo una variabile non commerciale, ossia un giudizio di proporzionalità e reciprocità non rispetto al produttore ma allo Stato di destinazione.
Cosa significano questi princìpi?
Significano che un Paese europeo per bloccare l’esportazione di vaccini deve verificare se il Paese verso cui essi sono indirizzati ne ha necessità, ma anche che esso non attui una politica di restrizione delle esportazioni. Un meccanismo che sul piano pratico non funzionerà.
Perché?
Perché la possibilità di blocco già esisteva, tanto è vero che l’Italia l’ha usata nei confronti di un lotto per l’Australia. Ma per un lotto che è stato bloccato ci sono oltre 43 milioni di vaccini che sono stati esportati fuori dall’Unione. Ora questo blocco delle esportazioni viene reso meno arbitrario, forse per renderlo compatibile con i principi della Wto.
È la Gran Bretagna il vero obiettivo dell’azione europea?
Sì. Londra rientra pienamente nel profilo in quanto non esporta verso la Ue ed ha anche meno bisogno dell’Ue dei vaccini, essendo enormemente più avanti con il proprio piano. Questa fairness europea forse potrà raggiungere qualche risultato in termini di cooperazione con il Regno Unito, anche perché ora anche l’India sta bloccando le esportazioni. Ma Londra ha ottenuto l’obiettivo a cui puntava, l’immunità di gregge nel 2021. Mentre l’Europa non ce la farà.
Lei ha detto che il meccanismo di controllo dell’export non funzionerà. Può spiegare meglio il motivo?
Non funzionerà perché l’Ue, non avendo un proprio vaccino, non può tirare troppo la corda. Ma anche perché alcune componenti degli altri vaccini approvati in Europa sono prodotti in Gran Bretagna. Supply chain così frammentate e geograficamente disperse a volte a cavallo di mezza dozzina di Paesi non si prestano a guerre commerciali da cui perderebbero tutti.
Allora ha vinto Londra.
È così. Gli inglesi si sono semplicemente dimostrati più bravi dell’Europa a sfruttare il libero mercato a beneficio dei loro interessi. Questa è da secoli, d’altronde, una loro prerogativa politica. Non li sfiderei sul loro terreno.
Allora dove ha sbagliato l’Unione Europea?
Ha sbagliato a non cercare di produrre un proprio vaccino. Che i singoli Paesi europei da soli possano non essere capaci, lo capisco. Ma che l’India, la Cina, la Russia o persino Cuba abbiano un proprio vaccino e l’Ue no, è davvero paradossale. Credo che sia una dimostrazione dell’alto livello di disfunzionalità del sistema europeo.
Oggi e domani si riunisce il Consiglio europeo ma non c’è identità di vedute sul da farsi. Si parla perfino del ricorso al sequestro delle dosi, ex articolo 122 del Tfue.
Io penso che la partita per il 2021 sia sostanzialmente perduta. Bisogna puntare a limitare i danni. Avere la grande maggioranza dei vaccini non nel primo o secondo trimestre dell’anno, dove possono coprirti nelle fasi forti del virus, ma nel terzo o nel quarto non mi pare affatto la stessa cosa. Sia perché arrivano quando la forza del vaccino si riduce stagionalmente e vi sono dubbi su quanti sono i mesi di copertura effettiva dei vaccini; sia perché più avanza la stagione più aumenta il rischio delle mutazioni.
Perché dice questo?
Nessuno ci può dire se i vaccini concepiti per l’inverno 2021 saranno ugualmente validi per il 2022 ed in che percentuale. Usa, Uk e Israele hanno fatto la corsa per accaparrarsi i vaccini nei primissimi mesi dell’anno. L’Europa questa corsa contro il tempo, che era poi una corsa contro altri Stati, l’ha perduta.
Che cosa insegna il caso AstraZeneca per quanto attiene le relazioni tra Ue e Regno Unito?
Che la Brexit è una cosa seria. E che il processo decisionale europeo è estremamente disfunzionale, con costi di coordinamento troppo elevati, sopratutto in termini di tempo.
È possibile una difesa dell’interesse prettamente europeo?
In teoria sì. Ma tale interesse è schiacciato tra gli interessi nazionali degli Stati e gli interessi dei grandi gruppi economici che spesso condizionano gli organi più tecnocratici dell’Unione.
In questa situazione che cosa deve fare Draghi?
In primo luogo non sprecare neanche una fiala dei vaccini che abbiamo e che otterremo a breve, bilanciandoli bene tra gruppi vulnerabili e settori produttivi strategici che non possono essere fermati. Poi, attivare i poteri speciali del commissario straordinario Figliuolo anche oltre gli aspetti logistici e preparare un contingency plan industriale che aumenti l’autosufficienza produttiva per il 2022, nel caso in cui l’Europa non riuscisse ad uscire dal caos organizzativo. Infine vigilare che non vi siano veti geopolitici ingiustificati verso vaccini prodotti da altri Paesi.
Vuol dire?
Vuol dire che se non possiamo essere autarchici, l’altra alternativa è quella di mettere i fornitori in concorrenza tra di loro. Con le dovute differenze, sotto questo aspetto è una partita strategica non dissimile da quella della sicurezza energetica.
(Federico Ferraù)
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