Con le vaccinazioni stiamo andando benino, le persone che hanno ottenuto una prima dose aumentano con una certa regolarità, ma l’aumento delle due ultime settimane è inferiore a quello delle settimane precedenti. I ritmi sono diminuiti in modo sensibile: non solo non stiamo andando verso il milione di dosi al giorno, ma per vari giorni siamo stati ben al di sotto delle 330-340mila nuove dosi giornaliere di fine aprile.
Dopo un parziale sbandamento, stiamo risalendo. Un rallentamento si è notato anche in Germania e in Spagna, Paesi che erano e restano comunque un po’ più avanti a noi nella quota globale di vaccinati.
È facile capire che il rallentamento generale è dovuto alla sciagurata gestione della comunicazione inerente ad AstraZeneca: hanno dato il loro contributo negativo sia gli ondeggiamenti delle agenzie per il farmaco, sia quelle menti semplici che hanno citato come esempio di comportamento la decisione sospensiva della Danimarca – Paese che, ricordiamo con tutto il rispetto, ha gli stessi abitanti della Campania. La campagna terroristica contro questo vaccino costerà all’Italia centinaia di morti in più di quelli che avremmo avuto senza quegli errori di comunicazione.
Figura 1. Percentuale cumulata di popolazione a cui è stata inoculata almeno una dose di vaccino, per Paese (fonte: https://ourworldindata.org/covid-vaccinations)
Alla data più recente (15 maggio), la quota di popolazione italiana che ha ricevuto almeno una dose di vaccino è del 31%. Quindi, lentamente ma inesorabilmente, stiamo progredendo verso i due traguardi che – noi stimiamo – sono raggiungibili prima di agosto: il 50% di vaccinati con una prima dose verso la fine di giugno e il 60% prima della fine di luglio.
Vedremo se la possibilità di vaccinarsi concessa alle persone nelle età di mezzo riuscirà ad accelerare questo processo che sarà decisivo per estinguere l’epidemia. I dati sulle vaccinazioni disaggregati per età dei vaccinati (Figura 2) indicano che gli italiani appartenenti alle classi di età anziane si sono quasi tutti messi al riparo, mentre incerto è l’esito – così come lo è stato nel Regno Unito e negli Stati Uniti – della ben più ardua campagna di vaccinazione della popolazione nelle età di mezzo.
Le difficoltà, superabili, sono dovute sia al conflitto tra i tempi del lavoro e quelli della vaccinazione, sia alla minore propensione a vaccinarsi, verosimilmente imputabile alla percezione di un minore rischio di infezione e di minori danni in caso d’infezione. Poi esistono quelli per cui è carnevale tutto l’anno, con i quali non c’è niente da fare. Tuttavia, il discreto successo della campagna vaccinale tra i sessantenni italiani (più del 50% ha fatto almeno una prima dose in poco tempo) fa ben sperare in merito al successo della campagna vaccinale pre-estiva tra la popolazione delle età di mezzo.
Figura 2. Percentuale di copertura vaccinale in Italia al 12 maggio 2021, per età della popolazione (Fonte: Fondazione Gimbe)
Un’estesa vaccinazione della popolazione è necessaria per poter vivere l’estate in quasi libertà, ossia con ampia libertà di movimento seppure con precauzione. Che questo sia possibile lo dimostrano i dati dei contagi rintracciati, ormai ridotti sotto le 10mila unità giornaliere e i morti per Covid, destinati a scendere sotto la soglia di 200 in media per giorno già dalla terza settimana di maggio (Figure 3 e 4). Questi numeri riportano il tasso di contagio nel Paese – per la prima volta da tanto tempo – al livello della prima metà di ottobre dell’anno scorso, quando stava per partire la seconda grande fiammata infettiva. Pertanto, il progresso nella vaccinazione sta per arrestare il contagio con la stessa velocità con cui esso si era diffuso nei mesi di settembre e ottobre.
Figura 3. Contagi giornalieri da Covid-19 in Italia fino al 15 maggio 2021 (Fonte: John Hopkins University – CSSE)
Figura 4. Morti giornalieri da Covid-19 in Italia fino al 15 maggio 2021 (Fonte: John Hopkins University – CSSE)
Presto potremo tirare il fiato. Potranno tirarlo gli ospedali e le terapie intensive. Queste ultime, ancor prima della metà di giugno, avranno pochi pazienti, tra i quali i decessi saranno, in media, meno di uno al giorno per provincia. Inoltre, potranno tirare un sospiro di sollievo le attività collettive, dalla ristorazione, al turismo, alle manifestazioni artistiche, culturali, scientifiche, religiose, sportive e sociali in genere. Ma anche il vivere sociale delle famiglie e dei gruppi sociali potrà e dovrà essere liberalizzato gradualmente, onde verificare gli effetti delle aperture, ma sistematicamente via via che si constaterà che l’estensione della vaccinazione protegge efficacemente dal rischio di contagio.
Ci poniamo due domande. La prima è: cosa fare con chi non vuole vaccinarsi? Come ogni diritto, quello di non vaccinarsi ha un limite nella messa a repentaglio della sicurezza altrui. Per esempio, si è imposto ai sanitari l’obbligo di vaccinarsi poiché la loro posizione li poteva rendere un crocevia di diffusione del virus. La stessa moral suasion può essere applicata a chi opera nella catena alimentare, nella catena della logistica e dei trasporti, ai commercianti di ogni tipo, ai dipendenti pubblici, in modo particolare a chi svolge attività di front-desk. Quindi, sia chi è preposto alla pandemia, sia gli enti, le associazioni categoriali e i gruppi sociali, devono insistere con i propri associati al fine di far capire a tutti quali rischi produttivi e sociali conseguono alla mancata vaccinazione.
Un’altra idea garantista è quella delle “isole Covid-free”: siccome tra poco ci saranno milioni di visitatori, bisognerà che in Italia ci siano tanti posti Covid-free quanti sono i luoghi frequentabili, oltre ad un sistema di rinforzo delle garanzie contro il rischio di contagio indotto dai visitatori. Per questo, senza trasformare l’Italia in un gigantesco ospedale, si dia la possibilità ai grandi alberghi e alle organizzazioni turistiche di supplire durante l’estate (in loco e senza tanto rumore) ad eventuali carenze nella vaccinazione degli ospiti. Potrebbe essere un incentivo in più per visitare l’Italia.
La seconda domanda è: cosa fare per proteggere i bambini per i quali non ci sono vaccini? Anzitutto, bisogna dire che i farmaci in circolazione (Pfizer, Moderna, AstraZeneca, Janssen) sono stati tarati su popolazioni “adulte” (dai 18 e, in qualche caso, dai 16 anni in su). Poi ci sono vaccini mirati per 12-15enni. Lasciamo da parte i bambini sotto i 12 anni per tre ordini di motivi: 1) non ci sono vaccini specifici; 2) i danni di un eventuale contagio sono mediamente molto più blandi rispetto alle classi di età superiori; 3) una volta raggiunta l’immunità di gregge, non c’è reale pericolo che, dai bambini, parta una nuova fiammata infettiva.
Giova, infine, ricordare che i bambini sotto i 12 anni, in Italia – purtroppo – sono pochi. Che il rischio di contagio sia minore perché i bambini sono pochi è una consolazione da poco in questa fase storica: avremmo preferito averne molti di più a cui badare. Ma questo è tutto un altro discorso.
Anche se stiamo per venirne fuori, rimane da risolvere una questione di fondamentale importanza: non si sa quanti siano gli immuni e quanto robusta sia l’immunizzazione delle persone contro i rischi di una ripartenza dell’infezione. Fino ad oggi, sono state documentate statisticamente le iniezioni, poiché il problema era come realizzare la vaccinazione di massa. È giunto il momento di pensare in termini di conseguenze della vaccinazione, ossia di persone e di immunizzati.
Partiamo dal principio: non sappiamo nulla, ma proprio nulla, su quanto a lungo i vaccinati sono immuni dal virus. Sono stati realizzati studi isolati sugli effetti immediati della vaccinazione, ma non sappiamo quanto dura l’effetto protettivo, né se ci sono differenze tra vaccini, se uomini e donne, sottoposti al medesimo vaccino, hanno reazioni fisiche differenti, se ci sono differenze tra classi d’età, oppure tra persone con o senza malattie croniche, tra colpiti dal virus e non colpiti ma vaccinati, e così via.
Forse qualcosa sull’argomento sanno le case farmaceutiche, ma nulla trapela. Giova ricordare, a questo proposito, che le case che producono i quattro vaccini utilizzati in Italia stanno tuttora proseguendo nelle loro sperimentazioni: la casa che completerà per prima le sperimentazioni sul vaccino è AstraZeneca, che finirà a dicembre 2021, l’ultima sarà la Janssen, che finirà a marzo 2023; le altre due, Pfizer e Moderna, completeranno la sperimentazione sui vaccini (che stiamo usando) tra ottobre 2022 e gennaio 2023. Cioè: la sperimentazione sui vaccini finirà quando i vaccini non dovrebbero servire più. In ogni caso, è evidente che le risposte alle nostre domande dobbiamo procurarcele senza aspettare Big Pharma.
Lo Stato italiano, che questa volta si è mosso con velocità e precisione, dovrebbe mettere in moto una attività che è stata tentata quando era in corso la prima ondata epidemica: un’indagine sierologica sulla popolazione. Una prima indagine con questi fini, realizzata nel 2020 da Istat e Croce Rossa, fu un buco nell’acqua perché fu organizzata senza le necessarie competenze di metodologia d’indagine. Diciamo, senza offendere nessuno, che è stata organizzata in modo formalmente ineccepibile, ma senza tener conto di come avrebbe reagito la gente. E la maggior parte della gente ha ignorato l’invito a farsi analizzare. Per una indagine di questo tipo vanno coinvolti medici e altri operatori della salute, ma, sulle modalità d’indagine, l’ultima parola spetta a coloro che hanno competenza specifica nel realizzare indagini.
Ci rivolgiamo, pertanto, alla sensibilità del generale Figliuolo e dello staff che sta governando le vaccinazioni. Non ha senso compiuto procedere alla cieca verso una seconda (o terza, o chissà quante ce ne vorranno) vaccinazione senza sapere quanto a lungo e con quale effettività gli italiani vaccinati sono protetti dal rischio di nuove infezioni e quanti, pur non essendo stati vaccinati, sono comunque protetti. Ci saranno, infatti, milioni di persone che, oltre a quella generata dal vaccino, hanno prodotto una propria immunità dovuta al contatto, sintomatico o asintomatico, con il virus. Tra sintomatici e asintomatici, si stima che i contagiati in Italia siano stati tra i 9 e gli 11 milioni. Quindi, come minimo, si potrebbe risparmiare un bel po’ sulle vaccinazioni.
La copertura immunitaria si può scoprire svolgendo un’indagine nazionale su base campionaria che evidenzi se e quanto vari tra categorie di persone la protezione data dal vaccino e/o dalla immunizzazione “naturale” delle persone. L’indagine sierologica segnerà il passaggio dall’attuale fase sanitaria massiva a quella dell’intelligenza statistica dell’immunizzazione, volendo con ciò fare riferimento al latino intelligere che, in questo caso, indica la capacità di padroneggiare il proprio intorno vitale.
Una volta studiata – su campioni di popolazione opportunamente stratificati e con un piano di rilevazione mirato – l’energia immunitaria degli italiani, si potranno definire consapevolmente e per tempo i processi di rinnovo o rinforzo dell’immunità delle persone. Si ricordi che il personale sanitario è stato vaccinato nel gennaio 2021 e che il prossimo agosto, per la generalità di queste persone, sarà oltre il sesto mese dalla prima vaccinazione.
Per una volta, anticipiamo i tempi, facciamo sentire agli italiani la sicurezza che può dare uno Stato citizen-oriented. Ungaretti scriveva: “uomo di pena / ti basta un’illusione / per farti coraggio”. Ne avremo bisogno, di coraggio, tanto. Adesso comincia il difficile.
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