Lo stop dell’Italia all’export di vaccini AstraZeneca verso l’Australia è un fatto senza precedenti per il nostro paese e per l’Unione. È il secondo episodio di rottura dell’immobilismo europeo dopo il Consiglio europeo di settimana scorsa, dove Draghi aveva invitato la presidente della Commissione, Ursula von Der Leyen, a tutelare in fretta i cittadini rimediando a una campagna vaccinale sbagliata e insufficiente.
L’errore dell’Ue è quello che la contraddistingue da sempre, perché impresso nel suo Dna: “hanno usato un approccio di mercato”, e in questo preciso caso, quello del siero anti-Covid, “di procurement di una commodity. C’è stata l’assenza di una visione politica nella partita dei vaccini”, dice al Sussidiario Paolo Quercia, docente di Studi strategici nell’Università di Perugia. Un errore molto serio. L’Europa potrebbe pagare al suo interno la scarsità perdurante di vaccini e l’utilizzo strategico da parte di chi è capace di fornirli: “le vecchie aree geopolitiche non coincideranno più con le nuove aree vaccinali”. E l’Italia?
Non un gazzettino sovranista ma il Corriere della Sera ha parlato apertamente di “fallimento clamoroso dell’Europa sui vaccini”. Qual è stato l’errore chiave dell’Ue in questa vicenda?
Forse sottovalutare la dimensione geopolitica della produzione e distribuzione dei vaccini, della competizione internazionale che vi sta dietro e delle enormi pressioni e interessi in gioco. Hanno usato un approccio di mercato, di procurement di una commodity.
Qual è la cosa più preoccupante in questo?
Il fatto che un organo tecnico come la Commissione abbia fallito proprio in quello che doveva essere il suo valore aggiunto rispetto alla sovranità degli Stati, cioè nel negoziare accordi tecnici vantaggiosi. Diciamo anche che l’Europa non è solo la Commissione, e gli Stati nazionali hanno fallito con essa.
L’Ema è stata accusata di lentezza e di burocrazia. Dove finisce l’errore tecnico e dove comincia quello politico?
L’Ema deve fare l’Ema, ed è giusto che abbia i suoi tempi ed i suoi protocolli. Da altri è stata accusata di essere troppo veloce nel rilasciare le autorizzazioni. Sicuramente una sua influenza l’ha avuta anche la cultura anti-vaccinale che negli ultimi anni si è molto diffusa in Europa, sopratutto nel Nord Europa.
L’errore politico è stato compiuto dall’Europa a guida e impronta tedesca di Merkel e von der Leyen?
Questo non lo direi. Però l’errore politico è quello di lasciare la guida di questioni strategiche ai tecnici. Da quello che posso capire io, c’è stata l’assenza di una visione politica nella partita dei vaccini. È chiaro che la mancanza di classe politica capace di percepire l’interesse strategico europeo è il tallone d’Achille di tutta la costruzione europea. L’Europa ha perso un’importante occasione per dimostrare la sua forza, il suo valore aggiunto rispetto agli Stati nazionali.
Si spieghi meglio.
In questa partita non puoi comportarti solo come un grande mercato, un enorme gruppo di acquisto di 500 milioni di abitanti. Non è quella la forza dell’Europa. L’Europa aveva la forza ed il tempo di produrre da sola, in collaborazione con le aziende farmaceutiche ma in posizioni di forza, un proprio vaccino pubblico da usare nell’Unione e fuori. Anche la Germania ha mostrato la sua mancanza di visione in questa partita.
Il vaccino russo Sputnik V prima è stato visto con scetticismo e sospetto, poi si è saputo che ha un’efficacia del 97% e un articolo di Lancet ne ha cambiato le sorti: adesso tutti lo vogliono. Qual è la sua importanza strategica verso l’Unione?
Dalla sua sintesi emerge un errore geopolitico evidente, dovuto al fatto che c’è un’Europa che guarda pregiudizialmente in maniera sospetta alla Russia. Sospetti ricambiati dalla propensione alla mancanza di trasparenza di Mosca e dalla tendenza della Russia a utilizzare le proprie risorse per condizionare politicamente l’Europa.
Lo Sputnik sembra avere rotto il fronte dell’Europa “core”: l’Austria intavola trattative con Mosca e annuncia una partnership produttiva con Israele, la Danimarca fa lo stesso, tutti i paesi del gruppo di Visegrád si muovono da soli. Queste iniziative hanno o avranno conseguenze geopolitiche?
Sì, anche se potrebbe esserci una questione di “taglia”. Stati piccoli e ricchi, che non hanno bisogno di quantità enormi di vaccini e che sono disposti a pagare di più le poche dosi di cui hanno bisogno, tendono a sganciarsi dall’approccio di mercato dell’Unione e seguire un approccio geopolitico.
Come giudica l’azione intrapresa da Draghi fin dal primo Consiglio Ue di settimana scorsa – più certezze, priorità alle prime dosi, linea più dura verso big pharma sul rispetto delle consegne, interruzione dell’export extra-Ue?
Mi sembra l’approccio corretto. Un approccio che fa bene anche all’Unione. Indubbiamente il peso di Draghi inizia a contare in Europa. Deve utilizzarlo per dare forza all’interesse nazionale italiano, cosa che raramente è stata fatta dai nostri governi.
Ieri l’Italia ha bloccato l’esportazione di 250mila dosi di vaccino AstraZeneca destinate all’Australia. È la cosa giusta?
L’Europa ha giocato la carta del protezionismo per rimediare agli errori del negoziato tecnico con le industrie farmaceutiche. La normativa del regime delle autorizzazioni all’export per i vaccini anti-Covid prodotti nella Ue è stata approvata a gennaio 2021, per un breve periodo transitorio, fino al 31 marzo. È stata impiegata per la prima volta dall’Italia per far pressione sulle industrie farmaceutiche. Probabilmente è stato il primo caso nel mondo di blocco di vaccini per l’esportazione. Se la aziende soddisferanno le quantità di dosi necessarie il blocco sarà tolto.
Altrimenti?
C’è il rischio che sia prorogato anche dopo il 31 marzo. Rischiando però di innescare una serie di pericolose guerre commerciali.
Torniamo ai rapporti Ue-Russia. L’Ue aveva annunciato poco tempo fa nuove sanzioni aggiuntive, dopo quelle di ottobre, destinate a colpire l’amministrazione russa per il caso Navalnyj. Come giudica questa partita?
Le sanzioni verso la Russia sono un tema piuttosto divisivo in Europa e non esiste una linea chiara verso Mosca. Le sanzioni spesso sono tenute al minimo necessario, rinnovate perché non è possibile tornare indietro. Ma indietro non si torna mai, ed anche la Russia tutto sommato non lavora per togliere le sanzioni esistenti ma piuttosto per renderle inefficaci, o addirittura aggiungerne da parte sua. Con Biden ed il suo riscoperto multilateralismo verso l’Europa la pressione per maggiori sanzioni alla Russia aumenterà, fino a sfiorare la fattibilità del raddoppio di North Stream 2.
Qual è l’obiettivo geostrategico della Russia verso l’Unione? E ha la possibilità di conseguirlo?
Credo che siano molti e diversificati per ciascun Paese dell’Europa. Certamente quello di dividere l’Europa dall’America e l’Europa stessa al suo interno, sopratutto se essa prende una postura geopolitica anti-russa, è uno dei filoni principali. Un certo livello di interdipendenza dell’Unione Europea dalla Russia va comunque salvaguardato, perché è un fattore di stabilizzazione, se correttamente gestito.
La Russia è più forte dell’Europa?
No, ma è più determinata. Questo si vede sopratutto nelle aree di sovrapposizione strategica alla periferia dell’Europa, come Balcani, Medio Oriente e Libia. Qui Mosca può contare su una politica estera che l’Europa non ha.
Che rapporto c’è tra la situazione creata dal Covid e da Sputnik e quella delle forniture energetiche e delle tensioni politiche collegate, con l’ostilità degli Usa al North Stream 2, la permanente dipendenza dell’Europa “core” dal gas russo, la volontà europea di punire la Russia sui diritti umani e la risposta assai poco conciliante di Mosca?
Oggi la disponibilità di un vaccino da esportare è diventata la più forte arma geopolitica, almeno nel breve termine. Forse per tutto il 2021 ed il 2022, fin quando vi saranno insufficienti capacità per tutti. A qualcuno il vaccino verrà offerto magari sottocosto, ad altri negato, ad altri venduto a prezzi elevatissimi. Se questa situazione di scarsità durerà a lungo, essa potrebbe avere un effetto sugli stessi sistemi di alleanze.
In che modo?
La disponibilità o indisponibilità di vaccini ha la capacità di creare o rimuovere ostacoli alla libertà di circolazione di merci e persone. Le vecchie aree geopolitiche non coincideranno più con le nuove aree vaccinali. Cosa ciò comporterà nel lungo periodo non lo sappiamo ancora bene, perché ancora non sappiamo quanto durerà la pandemia e quanti effetti produrrà sulle economie degli Stati. Però è il caso di iniziarci a pensare.
Che effetti politici europei può avere il fallimento di Ursula von der Leyen sui vaccini?
Penso che l’Europa supererà la crisi senza particolari traumi politici. Su questo c’è una certa irresponsabilità delle strutture europee, oltre al fatto che la complessità dei processi decisionali non si presta ad identificare con facilità i colpevoli. Certo, altri errori in questo campo in un momento difficile come l’attuale potrebbero innescare processi di risovranizzazione da parte di Stati membri già tentati a fare da soli.
Non sembra una conseguenza di poco conto.
Tutto sommato però se aumentano le tendenze centrifughe degli Stati piccoli dell’Unione, l’Italia guadagna in centralità nel sistema europeo. Il gioco europeo è diventato più complesso di quanto lo era qualche anno fa. E sicuramente l’Europa dopo il Covid non sarà più quella di prima. Anche i rapporti di forza all’interno dell’Unione risulteranno modificati.
(Federico Ferraù)