“Dopo gli annunci sul vaccino bisogna stare attenti, e io per primo cerco di essere cauto, a non dare l’impressione che ormai il problema Covid sia risolto e che possiamo festeggiare. È ancora importantissimo mantenere le condizioni uniche che per ora ci aiutano a prevenire il contagio: mascherina, distanziamento, divieto di assembramento e igiene frequente delle mani. E poi dobbiamo far sì che l’opinione pubblica abbia fiducia: quindi non dobbiamo sottoporre le persone a una serie di informazioni contraddittorie, bisogna far sì che il vaccino sia davvero efficace e sicuro e non che si sta partecipando a una specie di gara atletica a chi arriva per primo”. Silvio Garattini, 91 anni, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, accoglie con favore le buone notizie che arrivano dal fronte vaccino anti-Covid, ma mette subito in guardia: “La distribuzione del vaccino è un’operazione eccezionale che spetta allo Stato. Stiamo però attenti: abbiamo parlato per mesi dei banchi con le rotelle e ce ne sono ancora molti che devono essere ancora consegnati… Facciamo per tempo le cose che bisogna fare, senza aspettare l’ultimo minuto”.
Dopo l’annuncio di Pfizer siamo davvero a un passo dal vaccino?
Siamo ancora in una fase di studio e sperimentazione del vaccino, per avere i risultati finali dobbiamo aspettare che si concluda la fase 3 con tutte le analisi, comprese quelle statistiche per valutarne il reale effetto. I dati sembrano davvero interessanti, però restano dei punti di domanda a cui bisogna dare risposta.
Per esempio?
Qual è la popolazione che è stata sottoposta a questi trattamenti? Abbiamo un numero sufficiente di persone over 70? O di persone che hanno gravi malattie croniche, che più hanno bisogno del vaccino? Sappiamo che il vaccino è efficace per oltre il 90%, ma quanto dura l’effetto? L’immunità rimarrà per quanti mesi? E quali effetti collaterali provoca, specie a lungo termine? Sono domande a cui ancora non possiamo rispondere perché gli esperimenti sono in corso da pochi mesi.
Ci vorrà dunque ancora tempo, però si dice che le prime dosi saranno disponibili già a fine anno o inizio 2021.
Le prime dosi potranno essere disponibili perché la produzione è iniziata durante la sperimentazione con l’idea che, siccome è finanziata con soldi pubblici, se va bene, avremo subito un certo numero di dosi; se va male, si butta via tutto. Ma ci vorrà del tempo per completare lo studio, per far sì che le autorità regolatorie esprimano il loro parere e poi per la fabbricazione e distribuzione del vaccino. Con un’avvertenza importantissima.
Quale?
Non bisogna fare sconti sul rigore scientifico, le accelerazioni vanno bene solo quando servono a tagliare burocrazia e passaggi non essenziali.
Avremo anche altri vaccini?
È molto probabile. Anche AstraZeneca è alla fine della sua fase 3, poi c’è Moderna e molti altri. Tanto meglio se ci saranno più vaccini, perché non è detto che quello che arriva dopo non sia meglio di quello di prima. E più vaccini vuol dire avere maggiori possibilità di vaccinare più persone. Le variabili in gioco sono parecchie e complesse.
Si può dire che è del tutto scongiurata l’ipotesi che un vaccino efficace possa anche non arrivare?
Difficile dirlo: dipende se si è ottimisti o pessimisti. È molto probabile però che un vaccino prima o poi sarà disponibile, sono tanti i candidati in corsa.
Per l’Italia si parla di 27 milioni di dosi. Si dice che dal punto di vista logistico, dalla conservazione alla distribuzione, la catena del freddo in Italia non sarebbe pronta a gestire un numero massiccio di dosi. È così? Cosa bisognerebbe fare?
In effetti questo vaccino ha il problema di dover essere costantemente mantenuto a una temperatura di -80° e questo pone problemi organizzativi e logistici non indifferenti. Detto questo, occorre ricordare che con 27 milioni di dosi si possono vaccinare 13,5 milioni di soggetti, perché questo vaccino richiede due somministrazioni a distanza di qualche settimana attraverso inalazione. Bisogna preparare una catena del freddo, dalla conservazione alla distribuzione, ben organizzata. Bisogna pensarci per tempo, senza aspettare l’ultimo minuto. Altrimenti succederà quello che stiamo vedendo adesso con il vaccino antinfluenzale: lo si raccomanda, ma le dosi non ci sono perché sono state ordinate tardi e anche quando sono disponibili è difficile trovare chi provvede alle vaccinazioni, non sapendo bene chi le debba fare.
Conte ha annunciato che presto il piano vaccino verrà portato all’attenzione del Parlamento. Chi dovrà gestire questa vaccinazione di massa: il ministero della Salute, cioè lo Stato, o le Regioni?
Questa è un’operazione che deve essere gestita a livello centrale, non è un farmaco qualsiasi su cui le Regioni possano indire i loro bandi. È un’operazione eccezionale che spetta allo Stato. Ma stiamo attenti: abbiamo parlato per mesi dei banchi con le rotelle e ce ne sono ancora molti che devono essere ancora consegnati… Facciamo per tempo le cose che bisogna fare.
Al di là delle difficoltà logistiche, il piano vaccino di quali criteri e priorità dovrà tenere conto?
Dipende molto dalle quantità disponibili. Le prime dosi, ovviamente, saranno riservate agli operatori sanitari, i più esposti e quelli che possono più facilmente contagiare gli altri, e poi si tratterà di stabilire quali saranno le altre categorie. Di certo non potremo mettere in seconda fila gli anziani né i soggetti con più malattie croniche, perché sono i più fragili. Se le prime dosi destinate all’Italia saranno 1,7 milioni, cioè riusciremo a vaccinare solo 850mila persone, non basteranno neanche per tutto il personale della sanità.
La terapia con gli anticorpi monoclonali può essere un’arma efficace contro il Covid?
La Fda ha dato l’approvazione al trattamento con anticorpi monoclonali studiato da Eli Lilly, il bamlanivimab, e ci si aspetta che possa essere una soluzione per i soggetti in cui si è già instaurata la malattia o almeno per evitare un loro decorso molto grave. Anche questi anticorpi andranno valutati sulla protezione della mortalità.
L’Italia è in campo per la loro produzione?
Sì, l’Italia c’è: a Siena il gruppo Gsk, diretto dal professor Rappuoli, sta preparando un trattamento anticorpale valutato come molto efficace negli studi sugli animali da esperimento e presto verranno effettuate le ricerche cliniche. La speranza è che da lì arrivino buoni risultati.
Ci sono altri farmaci promettenti nel contrasto al Covid? Dall’idrossiclorochina al remdesivir, si può fare un po’ di chiarezza?
Idrossiclorochina, remdesivir e tutto il resto, incluso il tocilizumab, li possiamo escludere dal novero dei farmaci efficaci: tutti gli studi clinici più accurati hanno evidenziato che non sono in grado di agire significativamente sul virus o sulla malattia. Le uniche armi efficaci oggi a disposizione sono il desametasone, che riduce del 30% la mortalità nei pazienti che sviluppano la malattia; l’eparina per migliorare lo stato clinico dei soggetti che presentano una disseminazione di coaguli; le varie modalità di ossigenazione. Ora aspettiamo nuovi farmaci, a partire proprio dagli anticorpi monoclonali, perché in giro per il mondo c’è tanta ricerca.
Secondo l’Agenas (Agenzia per i servizi sanitari regionali), il 52% dei ricoveri nei reparti di area medica degli ospedali riguarda pazienti Covid. Guardando le curve epidemiologiche, l’Italia è a un passo dal baratro?
Non sono un epidemiologo, posso solo dire che molto dipenderà da quello che si metterà in atto e dai comportamenti, individuali e sociali. Purtroppo c’è ancora molta gente che non osserva le regole e che rischia di contagiare non solo se stessa, ma anche gli altri.
Tra prima e seconda ondata, sono stati commessi errori e negligenze?
Indubbiamente. E la prima è stata l’eccessiva apertura dopo il lockdown concessa a discoteche e luoghi di ritrovo. In secondo luogo, abbiamo avuto mesi per attrezzarci alla seconda ondata, che era attesa: che cosa è stato fatto, per esempio per i trasporti o per rafforzare la medicina del territorio, che è completamente mancata?
Su scuole e trasporti si poteva fare di più e meglio?
Sì, e soprattutto andava fatto prima.
Il testing & tracing è fallito. Come si può riprendere il controllo dei tracciamenti?
Come si dice: tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Se si vuole fare il tracciamento, che è importante, poi lo si deve fare davvero. Se alle persone tracciate, costrette alla quarantena per 15 giorni, poi nessuno va a eseguire i tamponi, è sequestro di persona. Le pare normale che uno debba aspettare fino a 45 giorni per il tampone? Così è inutile fare il tracciamento.
Per quanto tempo si potrà continuare con una vita “anormale” ed emergenziale?
Purtroppo, fin quando sarà necessario. Certo che le persone oggi sono meno disposte a ripetere quel che hanno affrontato con la prima ondata, sono più arrabbiate. E le classi socio-economiche più povere sono quelle che soffrono di più un lockdown: è un problema che va affrontato.
Al netto del vaccino, dobbiamo prepararci a una guerra di trincea contro il Covid?
Questa guerra durerà ancora molti mesi e sarà benvenuto tutto quello che aiuterà ad accorciare questo periodo.
(Marco Biscella)