È uno strano scorcio di legislatura. Un ex partito del 33 per cento ha cavalcato un referendum per il taglio di parlamentari (la casta) che probabilmente pochi dei parlamentari che lo hanno votato adesso vorrebbero. Il governo Conte si è giovato di ampi poteri assunti grazie all’emergenza del Covid-19, ma oggi appare sempre più debole e inconcludente. Troverà sostegno nei voti di Berlusconi, di cui avanza speditamente (da ultimo grazie a Prodi) la rilegittimazione politica. Intanto, il paese appare fermo, in attesa di una batosta economica senza precedenti.



In un recente articolo uscito su Repubblica, Luciano Violante, magistrato e penalista, ex deputato Pci-Pds-Ds e poi presidente della Camera, ha lanciato l’allarme sulla crisi della rappresentanza politica e sul ruolo del Parlamento, ridotto “al rango di consulente dell’esecutivo”.

Presidente Violante, lei dice che il Parlamento è marginale, ma siamo in uno stato di emergenza che dura dal 31 gennaio.



L’emergenza è stata determinata da una malattia sconosciuta che ha investito tutto il mondo. Sono convinto che il nostro sia uno dei paesi nei quali cittadini e istituzioni si sono comportati meglio. Errori ce ne sono stati, ma è inevitabile quando si affronta un problema nuovo di queste dimensioni. Poi le emergenze, quando arrivano, fanno piazza pulita dei soprammobili… mettono in luce i problemi profondi di un Paese.

Il suo elenco è lungo: dalla reiterazione delle questioni di fiducia alla confluenza di più decreti legge in una unica legge di conversione, dalle leggi delega indeterminate fino alla riduzione del numero dei parlamentari.



Appunto. I processi di emarginazione del Parlamento sono anche processi di auto-emarginazione. Se il Parlamento consente che il Governo possa spostare autonomamente cifre di bilancio da un capitolo all’altro, non può poi lamentarsi di contare sempre meno.

Qual è la causa di tutto questo?

Lo stesso Parlamento si rende conto dei limiti delle proprie procedure. Alla radice c’è il fatto che un Parlamento pensato alla metà degli anni 40 del secolo scorso non può più essere il Parlamento di oggi. Il resto lo ha fatto il trasferimento di una serie di competenze all’autorità giudiziaria.

Intende il processo storico di esternalizzazione alla magistratura di una serie di problemi che vanno dalla lotta armata all’immigrazione, dalle stragi alla corruzione?

Certamente. Ma anche un’impostazione culturale complessiva fondata sul sospetto e sulla sfiducia, che ha dato alla magistratura poteri assai estesi di controllo dei cittadini, delle imprese e della stessa politica.

Gli audio del giudice Esposito sul processo Mediaset e il caso Palamara ci parlano di uno stato di emergenza molto più ampio.

Sono più colpito dai 10 anni di reclusione appena inflitti a un magistrato per corruzione (l’ex pm di Trani Antonio Savasta, ndr). Mi pare un fatto più grave dell’audio di una persona deceduta che ha sottoscritto quella sentenza e che non può più spiegare il senso delle sue parole.

Ma c’è o no una questione culturale e morale che investe la magistratura?

Riguarda alcuni magistrati che si sono costituiti come gruppi di potere all’interno della magistratura e nei rapporti con altri soggetti esterni.

Il problema è sempre lo strapotere di alcuni giudici. Che vuol dire uso politico della giustizia.

La politica ha dato alla magistratura penale estesi poteri di controllo sulla società e quella magistratura esercita quei poteri, come è istituzionalmente doveroso. Io non credo in un uso politico della giustizia come linea dominante; credo invece che per effetto di quella delega di poteri le azioni della magistratura hanno spesso rilevanti effetti politici.

Il Csm è screditato. Dov’è finita la moral suasion del suo presidente?

Di conflitti tra presidente e Csm ce ne sono stati molti, con Pertini, Ciampi, Napolitano; sono stati documentati e denunciati con chiarezza abusi e inefficienze.

Il presidente della Repubblica però tace.

Il Presidente ha detto tutto quello che doveva dire. Il Csm è ben diretto e lavora bene. I problemi vengono non dalla gestione ma dalla struttura del Consiglio che è inadeguata: riflette un’altra magistratura, quella degli anni 50, una corporazione di alti funzionari pubblici con un alto senso di sé, regole interne di carattere etico professionale molto rigide e un controllo preciso dei dirigenti degli uffici.

Oggi invece?

Oggi la magistratura fa parte del sistema di governo del paese. Il Comitato direttivo centrale dell’Anm è il parlamento, le correnti sono i partiti, il Csm è il governo. Sono strutture parallele a quelle dello Stato. La magistratura si è conformata alle funzioni che la politica le ha affidato.

Secondo lei “il Parlamento ritorna sovrano quando riesce a costruire la sintesi attraverso il compromesso”. A chi si riferisce quando cita “parti rilevanti del mondo politico e della società civile” che lo respingono?

Basta guardare i giornali. Chi vuol parlare con l’avversario sembra che stia facendo un sacrilegio. Una generazione politica più giovane e altre volte più rozza criminalizza il dialogo con l’avversario che così diventa un nemico.

Parla dei 5 Stelle, di Salvini, del Pd?

È una sottocultura politica presente in molti partiti. La politica sta diventando un gioco condotto con altri mezzi. Cosa è importante nel gioco? Vincere. Nella politica è divenuto importante vincere, non governare.

Il governo appare in difficoltà, più che per gli strali dell’opposizione, per l’incapacità di rispondere alla crisi.

Governare è un’arte difficile, a volte impossibile, però ognuno quando parla del governo ha in tasca la ricetta per fare bene. Trovo che in una situazione molto difficile abbia fatti meglio di molti altri Paesi. 

Potrebbe arrivare l’aiuto di Berlusconi. Per Romano Prodi “non è un tabù”. E per lei?

Non è certamente un tabù. Ma cosa vuol dire allargare la maggioranza, e per fare che cosa? Le cose che vogliono fare i 5 Stelle o il Pd sono le stesse di Forza Italia?

Forse la verità l’ha detta Andrea Marcucci: “europeisti tutti dalla stessa parte”.

Se serve un’etichetta per un governo che va dal Pd a Berlusconi passando per M5s, l’europeismo può bastare. Non basta invece per decidere che cosa fare in Italia. A meno che non nasca un progetto di fine legislatura.

Ci sono le condizioni?

Oggi non le vedo, e credo che sarebbe anche poco dignitoso considerare FI solo un’appendice aggiuntiva.

Meglio il voto?

Ma il voto non è una bacchetta magica che risolve i problemi. Servirebbe un discorso aperto a tutte le forze parlamentari: quali sono secondo voi le due-tre cose da fare più importanti da qui alla fine della legislatura?

Da chi può venire un simile appello, una simile iniziativa? Dal capo dello Stato?

Dal senso di responsabilità di tutti i partiti.

E la persona migliore per guidarlo?

È una domanda prematura.

Ha parlato di un progetto di fine legislatura. Qual è il programma di Luciano Violante?

Sarebbe sciocco mettermi a fare programmi. Credo che siano prioritarie la transizione digitale in tutti i campi, dalla scuola alla Pa, una nuova legislazione in alcuni settori prescelti e la cancellazione dell’attuale bicameralismo.

Nuova legislazione? C’è la semplificazione, è un cantiere enorme.

Ci sono alcune cose buone, ottime per l’immediato. Ma bisogna pensare anche a interventi strutturali. Bisognerebbe scegliere un paio di settori, tra questi i lavori pubblici, in cui legiferare ex novo. Pensare di semplificare l’insemplificabile è ingenuo. Servono nuove norme e il definitivo abbandono delle vecchie. Il codice dei contratti pubblici non può essere semplificato ma solo abbandonato, perché è figlio di un’altra stagione.

Quale stagione?

Quella del sospetto. La fondata necessità di combattere mafia e corruzione ha ingabbiato quasi tutto. Ma in queste gabbie le mafie e le corruzioni aumentano, non spariscono. E il paese non cresce. Solo la semplicità rende visibile il malaffare.

Perché scrivere su una pagina bianca?

Perché altrimenti qualunque tipo di novità sarà assorbita e mangiata dal vecchio. Il morto catturerà il vivo. Invece la Pa deve fare opere, non procedure.

La riforma del bicameralismo chi dovrebbe farla?

È una questione costituzionale che ha fatto parte sia dei progetti del centrosinistra che di quelli del centrodestra. Bisognerebbe approfittare della riduzione del numero dei parlamentari, perché con 200 membri il Senato non funzionerà.

La sua soluzione?

Si dia alla Camera il voto finale su tutte le leggi, l’indirizzo politico e la fiducia. Siano bicamerali solo le leggi costituzionali e i trattati internazionali, si dia al Senato la facoltà di richiamare le leggi approvate dalla Camera e di proporre emendamenti che la Camera può respingere solo con determinate maggioranze. E si affidi al Senato tutto ciò che riguarda i rapporti tra regioni e Stato.

(Federico Ferraù)