Il caso dello scherzo telefonico dei due comici russi Vovan e Lexus alla Meloni è diventato un caso politico e lo staff di palazzo Chigi ne esce malissimo. Ieri il presidente del Consiglio in conferenza stampa dopo il Cdm ha detto che il suo consigliere diplomatico Francesco Talò si è dimesso, ma i fari restano puntati sull’onnipotente segretaria factotum di Meloni, Patrizia Scurti, il cui ruolo nello staff del premier, come è stato messo subito in evidenza dal Sussidiario, è tutto da chiarire ed è ora sotto accusa.
Un episodio, commenta Alessandro Curioni, esperto di cybersecurity, che testimonia l’arretratezza della nostra concezione di sicurezza. Non basta, ormai, salvaguardare l’incolumità fisica di un premier, bisogna anche prepararsi per evitare situazioni nelle quali una comunicazione riservata diventi pubblica, mettendo in ridicolo le istituzioni e il Paese. Quella che deve scattare è una diversa considerazione di questi pericoli, una nuova cultura della sicurezza.
La telefonata fake ricevuta dalla Meloni che cosa ci dice dello stato attuale della sicurezza degli organi dello Stato? Perché, secondo lei, è stato così facile “bucare” la protezione attorno alla nostra premier? Sarebbe successo lo stesso a Macron, a Sunak o a Scholz, al netto del fatto che alla Merkel era già capitato?
Ci dice che esiste un problema culturale, perché la sicurezza delle informazioni non ha ancora fatto breccia nelle logiche di chi deve garantire la sicurezza dello Stato. Il fatto che ci siano dei precedenti è un’aggravante. Poteva succedere a chiunque. Mi spiego. Un leader presuppone o, per meglio dire, deve presupporre di essere circondato da un sistema di sicurezza. Il problema è cosa si intende per sicurezza. Storicamente la sicurezza di determinate personalità era puramente fisica: non deve essere rapito, ucciso o ferito e via dicendo. In realtà lo stato attuale dell’arte dimostra che questo approccio è parziale e superato, perché il problema non è più solo “fisico”. Poteva succedere ad altri leader? Assolutamente sì. Tutto dipende da chi gestisce la sicurezza.
Alcuni minimizzano l’accaduto, altri lo considerano un atto gravissimo, chi ha ragione secondo lei? Esistono in ogni caso responsabilità individuali dalla premier in giù?
Minimizzare l’accaduto è un evidente segno di arretratezza “mentale”. Significa essere rimasti indietro di decenni. Un capo di Stato o di governo detiene informazioni per definizione critiche per la sicurezza dello stato Stesso e qualsiasi sua dichiarazione, affermazione, comunicazione rappresenta un potenziale rischio in termini di sicurezza delle informazioni. In ogni caso se anche non le detenesse, qualsiasi cosa affermi è una presa di posizione dello Stato e rappresenta un’informazione, per definizione attendibile. Trascurando anche questo, il problema rimane l’esposizione al ridicolo del Paese. Fatemi dire che il premier, fatte salve sue iniziative personali e direi indebite se contrarie alle regole, non è responsabile. La sicurezza delle sue comunicazioni è questione di Stato e quindi deve essere soggetta a protocolli ben definiti e non alterabili.
Qual è, secondo lei, la ragione di un simile attacco? C’è un motivo per cui è successo proprio ora? È stato un test o è un episodio isolato?
Dal punto di vista russo mettere in ridicolo qualsiasi leader europeo è un successo e in questo periodo vale doppio. Sembra che per qualche ragione, non difficile da comprendere, sia molto interessante per spostare l’interesse dalle “questioni ucraine” verso altro.
Cosa si può fare per evitare che si ripetano eventi del genere?
Questa domanda è veramente difficile perché richiede un cambiamento di mentalità che non accade in un attimo. Peccato che un attimo sia già troppo.
(Max Ferrario)
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