Nei mesi scorsi, nel dibattito pubblico, e politico, si era posto il tema dell’efficacia o meno della nuova campagna “Open to meraviglia” lanciata dal Governo per far conoscere le nostre bellezze, dalle grandi città ai piccoli borghi, raccontare il nostro patrimonio sconfinato di arte, natura, gastronomia e spalancare al mondo intero le porte alle meraviglie del nostro Paese. Oggi l’estate sta finendo e, presto, in spiaggia di ombrelloni non ce ne saranno più ed è, quindi, arrivato il tempo per fare un primo, sebbene provvisorio, bilancio di come siano andati, a prescindere dalla bontà o meno delle campagne promozionali, questi ultimi mesi per il sistema diffuso del turismo e dell’accoglienza.
Ci supporta in questo un interessante, e utile, rapporto dei Consulenti del Lavoro pubblicato nei giorni scorsi che ci aiuta anche a capire meglio se è stato poi così difficile trovare il personale nella prima estate senza (almeno parzialmente) il reddito di cittadinanza.
Stando, ad esempio, agli ultimi dati Istat, nell’ultimo anno il comparto dei servizi di alloggio e ristorazione è quello che ha registrato la maggior crescita occupazionale, segnando un +10,3% a fronte di un aumento medio dei lavoratori del 2,3%. Nel confronto con il 2022, il numero di impiegati nel settore è infatti passato da 1 milione 259mila a 1 milione 338mila (130mila in più, pari al 25,3% dei nuovi posti di lavoro creati durante i 12 mesi). Dati questi confermati anche dall’ultimo bollettino Excelsior, secondo cui è proprio il turismo a offrire le maggiori opportunità di impiego in questo torrido agosto con quasi 62mila previsioni di assunzione su circa 293mila programmate dalle aziende e circa 200mila nel trimestre. Segnali, insomma, positivi, che consentono al comparto uscito più martoriato dalla pandemia degli scorsi anni di recuperare e superare addirittura i livelli occupazionali pre-Covid (+0,9% rispetto al 2019).
Secondo questi studi la tendenza potrebbe persino consolidarsi nei prossimi mesi se, come è auspicabile aspettarsi, anche il valore aggiunto di settore recupererà i livelli pre-pandemici.
Si deve, inoltre, sottolineare come l’occupazione femminile nel settore segni nell’ultimo anno un +15,5% (quasi100 mila occupate in più), contro il +5,5% registrato dalla popolazione maschile.
Lo studio, però, non nasconde alcune importanti criticità: su 100 occupati, infatti, solo 17,1 rientrano tra le professionalità ad alta qualificazione, come manager, direttori, imprenditori e specialisti. La maggioranza dei lavoratori del turismo ( ben il 73,9%), invece, presenta una media qualificazione (addetti alle vendite, ai servizi, al marketing), mentre le figure a bassa qualificazione (addetti pulizie, magazzinieri, fattorini) sono il 10% circa.
Appare interessante, in questa prospettiva, notare come il turismo sia il settore dove ovunque, ma specialmente in Italia, si registri il più alto livello di “overqualification” ossia quel fenomeno per cui il lavoratore ha una preparazione tecnica o accademica superiore a quella richiesta per il lavoro che si svolge. Nello specifico su 100 persone con un elevato livello formativo ben 72 sono, ahimè, impiegate in posizioni per cui non è richiesto il grado di istruzione posseduto. Un dato, questo, molto preoccupante e che, in ogni caso, ampliando l’analisi all’intera economia si attesta, comunque, al 22%.
In questo quadro siamo proprio sicuri che il problema sia stato il reddito di cittadinanza e che la soluzione sia un salario minimo, e giusto, deciso per legge? Non sembra, altresì, il sintomo di un sistema Italia che, nel turismo come in altri settori, ha paura di fare il salto di qualità e di entrare, finalmente, nel terzo millennio lavorando a 360 gradi per migliorare la capacità di offrire, in maniera diffusa, prodotti e servizi innovativi senza sprecare la qualità, mediamente alta, del suo capitale umano?
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