Solo un mese assistevamo a un confronto tutto italiano, in occasione delle ultime elezioni europee, in cui Giorgia Meloni ed Elly Schlein non si perdevano d’occhio neppure un minuto. Ma la tensione mediatica, favorevole a entrambe pur su diversi fronti, fece ingelosire a tal punto i leader maschili, che si opposero a un loro confronto televisivo con una determinazione radicale. E il confronto non ci fu… ennesima manifestazione di maschilismo davanti a due donne discutibili, quanto si vuole, ma impegnate a tutto campo a difendere le loro idee e le loro posizioni. Ed effettivamente, nonostante lo sgarbo maschile, vinsero tutte e due, consolidando le rispettive posizioni e riscoprendo un nuovo reciproco rispetto; probabilmente un’esplicita mutua ammirazione, non dichiarata, ma reale e consapevole.
Oggi, a distanza di poco tempo, tocca ad altre due donne giocarsi una leadership forte e coraggiosa, impattando con pregiudizi di ogni tipo, ai limiti dello sgarbo, ancora una volta tutto maschile. Anche loro sono una di destra e una di sinistra, perché resti chiaro che la lotta al potere femminile non ha colore politico, dal momento che è una lotta per il potere ed è proprio questa la battaglia che gli uomini non sanno giocare e comunque detestano perdere.
Sul fronte francese c’è Marin Le Pen; donna tradizionalmente di destra che comunque rispetto alla tradizione politico-familiare ha saputo innestare un processo di revisione sostanziale della sua storia e della storia della destra del Paese. Nessuno le ha regalato nulla: l’abbiamo vista combattere per questo suo sogno di campagna elettorale in campagna elettorale, guadagnando posizioni e arrivando così vicina a vincere la sua sfida, da essere indicata come un pericolo nazionale. Un pericolo peggiore dello stesso Macron, che pure di risultati positivi sul fronte politico nazionale e internazionale ne ha raggiunti davvero pochissimi. Ma contro di lei oggi tutta la Francia è coalizzata e le vengono attribuite possibili colpe future di cui non c’è traccia nella sua storia reale. Ma peggio ancora va alla sua collega Kamala Harris, che non solo ha contro tutto il fronte repubblicano, come è naturale, ma il suo stesso Presidente, che ha dato recentemente un’immagine di sé tutt’altro che brillante, stenta a riconoscere in lei il suo successore naturale, colei che pure gli è stata accanto per quattro anni.
In questa fase giocano a favore di Kamala soprattutto tre cose: l’essere donna, l’essere di colore, l’essere stata l’unica donna vicepresidente. Attributi che qualche hanno fa ne avrebbero ridotto potere e visibilità. Gli Stati Uniti, pur nella loro liberalità, non sembrano ancora aver voglia di fare spazio al potere femminile. Ma lei c’è e combatte, senza demordere e senza fidarsi troppo della solidarietà maschile; paradossalmente lei e Marine Le Pen hanno raggiunto posizioni di leader incontrastate combattendo a mani nude, credendo di potercela fare, credendo in se stesse e lottando per dimostrarlo.
Non c’è che dire le donne stanno imparando a prendersi il potere, quando credono di avere le capacità per poterlo gestire, senza attendere quote rosa di nessun tipo. Lottano per avere ciò che vogliono. È un nuovo modo di vivere l’avventura politica e la leadership necessaria. Ma in tutte e quattro, giunte al vertice del potere, o per lo meno così vicine al massimo livello possibile nel proprio contesto, come nessuna donna era ancora giunta prima di loro, sembra che il modello incarnato rievochi ancora troppo quello maschile. Forte, determinato, più incline ad aprire strade, a dare ordini e indicazioni che ad ascoltare. Cosa che accade molto meno nelle donne che stanno gestendo una buona quota di potere, ma restando a livelli di base, le donne sindaco, decisamente in aumento in Italia, con una maggiore prossimità ai rapporti con la gente, con le loro necessità e la loro fragilità.
Il potere delle donne va oltre le dinamiche di partito, per affondare le sue radici in una nuova consapevolezza che l’essere donna non ha alcun bisogno di scimmiottare modelli maschili. Sono loro le nuove donne di un nuovo potere, inteso più come servizio che come esercizio di autorità. Non serve intraprendere una competitività aspra con i colleghi uomini, come è accaduto ai tempi del femminismo arrabbiato, né tanto meno chiudersi nel guscio di un vittimismo femminile. Serve invece scoprire di cosa abbia bisogno la società oggi, cercando di cogliere la profondità del suo malessere, per provare a elaborare risposte mature e coraggiose, innovative quel tanto che serve per essere realmente efficaci, senza falsi stereotipi né di età né di genere. Solo così le donne potranno sconfiggere la piaga dell’assenteismo.
Il tanto premiato film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani”, oggi paradossalmente denuncia una sconfitta. Le donne hanno abdicato al loro potere di voto; sembrano non crederci più tanto…Non a caso tra chi non è andato a votare, e cioè oltre la metà degli italiani, la maggior parte sono state proprio le donne. Se fra gli uomini la barra dell’astensionismo si è spinta fino a un drammatico 46%, per le donne è salita al 59%. Non ci basta che le donne conquistino posizioni di vertice, assumendo atteggiamenti e comportamenti ancora troppo maschili, nonostante i colori pastello e le chiome sciolte, vogliamo uno stile di leadership femminile diversa. Vogliamo tornare a una politica come servizio, che abbia un forte potere di attrazione soprattutto nei confronti delle donne: donne che sanno mettere la politica al centro, ma declinano il potere in forma collaborativa e non conflittiva. Donne che conoscono fino in fondo il valore della pace, non come un ideale di buonismo senza nerbo e senza radici, ma come ferma convinzione che, ad esempio, la vita, la famiglia, le nuove generazioni vanno difese lottando strenuamente al loro fianco, con uno stile che scioglie nodi e conflitti, senza impegnarsi a stringerne sempre di nuovi per mostrare la propria forza e vincere, costi quello che costi.
È la leadership femminile la risposta ai nuovi bisogni, ma deve essere davvero femminile, che non vuol dire stucchevole, ma coraggiosa e pronta ad assumersi le sue responsabilità.
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