Robert Schuman (1886-1963), il politico francese che con De Gasperi e Adenauer aveva tenuto a battesimo l’idea dell’Europa unita, è stato riconosciuto Venerabile dalla Chiesa. Papa Francesco il 19 giugno ha autorizzato la promulgazione del decreto che riconosce le virtù eroiche dello statista francese. Come ha dichiarato padre Ardura, il postulatore della causa di beatificazione, il decreto “è un passo importante nel processo di canonizzazione, senza dimenticare che per arrivare alla beatificazione ci vorrà un miracolo”.
Il tempo nel quale viviamo è una circostanza favorevole per lasciarci colpire da questo fatto. Oggi le chiese sono vuote e l’esperienza cristiana non appare più come un fattore interessante per la vita. Colpisce che solo 70 anni fa quella stessa fede, oggi vissuta come inutile, abbia addirittura contribuito ad un processo di portata storica.
Sì, perché, come si legge nel decreto, l’azione politica di Schuman è assolutamente inscindibile dalla sua esperienza di fede. Recita il testo: “visse la virtù della fede come una dimensione totalizzante. La fede nutrì e sostenne il suo impegno a lavorare per un’Europa unita e riconciliata”.
Erano gli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, l’Europa era ancora lacerata dai conflitti tra gli stati e probabilmente avrebbe continuato ad esserlo se qualcuno non avesse investito su una possibilità di riconciliazione che nascesse dal mettere in comune le risorse anziché usarle in maniera conflittuale. Così nacque il 18 aprile 1951 la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, la Ceca, che era stata anticipata dalla Dichiarazione di Schuman che nel maggio 1950 aveva lanciato l’idea di mettere la produzione franco-tedesca del carbone e dell’acciaio sotto un’autorità sovranazionale aperta all’adesione di altri Stati. Come è noto la Ceca fu il primo passo di quel processo che ha portato fino all’Unione Europea.
Che la fede possa avere avuto una tale rilevanza storica non può non sfidarci. Se oggi guardiamo i giovani che affollano strade e spiagge, che sfrecciano sui monopattini o si accalcano nei locali, e lealmente ci domandiamo che cosa possa mai essere per loro il cristianesimo, ci ritroviamo con le osservazioni che Lucio Brunelli aveva proposto tempo fa sull’Osservatore Romano: “un ragazzo che non sa e non può dare alla parola fede alcun contenuto esistenziale guarderà al cristianesimo con indifferenza”. “Non cattiva, nemmeno ostile, semplicemente qualcosa di non comprensibile e non riscontrabile nella sua vita”.
“Ciò che manca – aveva detto don Giussani già al Sinodo dei laici nel 1987 – non è tanto la ripetizione verbale o culturale dell’annuncio. L’uomo di oggi attende forse inconsapevolmente l’esperienza dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la vita loro è cambiata. È un impatto umano che può scuotere l’uomo di oggi”.
Una vita, quella di Schuman, così cambiata dalla fede da avere avuto intelligenza ed energia per cambiare anche il mondo. Possiamo solo essere grati quando ci accade di incontrare oggi queste vite cambiate, augurandoci che i nostri giovani possano intercettarle, perché, come ricordava recentemente don Julián Carrón, in un dialogo con de Bortoli e Truffelli, “c’è bisogno di segni concreti in grado di vincere sugli individualismi. Non bastano le prediche o gli appelli, servono esperienze umane che documentino come si può vivere la vita in modo più intenso, e che diventino fonte di speranza”. E tutti, i giovani in particolare, sono alla ricerca di questa intensità di vita.
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