Da sempre mi fanno innamorare gli animi maledetti, i maledetti della storia, i condannati alla maledizione. Quelli che, della maledizione, portano addosso le vesti, finendo per prenderne addirittura la forma, forma che alla fine ti sforma. “Maledire”, rovesciato, è “dire male”: parlare male, giudicare male, fare del male è la versione, in perpetuo aggiornamento, della maledizione iniziale. La vera maledizione, quand’è fatta giustizia, è che chi ha maledetto si dimentica di aver detto male. Non per questo la maledizione diventa benedizione: rimane furia di male, tempesta d’arroganza. Le persone peggiori, poi, sono quelle che sanno quali tasti toccare per farti male: su quel punto, poi, ci schiacciano sopra tutto il peso della loro cattiveria. Nessuno pensi che la maledizione sia qualcosa che ha a che fare con il sovrumano: al contrario è solo qualcosa di meno umano.



Ne sanno qualcosa Alex e Sandro: di cognome il primo fa Schwazer (nella sua bacheca un oro olimpico nella 50km di marcia), il secondo fa Donati (il guru dell’antidoping). Per il genio atletico il primo, per la schiena diritta il secondo, la maledizione s’è scagliata su di loro.

Il motivo lo sanno tutti, in primis quelli che a loro hanno fatto del male, facendo del male al medagliere italiano: il primo, nella sua disciplina, non ha rivali al mondo. Il secondo – mescolate il fiuto, la scienza e la coscienza sua – è il terrore dei truccatori, i fannulloni legalizzati. “Li abbiam fatti fuori definitivamente!” han pensato quel giorno manomettendo la provetta di Alex. Peccato non avessero calcolato il principio Allen: “Il mondo – scriveva Woody – è diviso in buoni e cattivi. I buoni dormono meglio la notte, i cattivi se la spassano meglio di giorno” (W. Allen).



La notte, da fattore metereologico, si è fatto umano: chi aveva spento la luce, si è trovato adesso bloccato nella galleria del buio, senza sapere più come accendere la luce. A coloro a cui han spento la luce, invece, è rimasto il ricordo di dov’è l’interruttore: si chiama volontà, e chi la conosce assicura ch’è una forza molto più potente del vapore, pure dell’energia elettrica. “Mister, sei pronto? (Ri)proviamoci”. La telefonata dev’essere parsa di una elettricità unica anche ad uno come il professor Sandro Donati, allenato a fiutare nell’impossibile una via per farlo diventare possibile. Detto e fatto: Roma, Parco delle Valli sull’Aniene, pieno giorno, novembre 2019. Alex Schwazer sta marciando. E con lui, cronometro al collo e l’immancabile agenda in mano, c’è il suo angelo-mentore, l’angelo del marciatore maledetto: il prof Donati. Fa strano, a qualcuno, vederli ancora sgomitare assieme: sembra che il tempo si sia fermato a quel disgraziato 2016, a pochi giorni dalle olimpiadi brasiliane. Sembra ieri, anche le immagini paiono lontane. I ricordi tendono ad affievolirsi nella malinconia. Sembra.



Invece non è come sembra. I due maledetti tornano a benedire quel gesto che li ha uniti. Li hanno portati fin sul patibolo, li hanno esposti al pubblico ludibrio, pochi han capito che dietro quell’uomo dai muscoli di ferro c’era un uomo al quale i cattivi avevano rubato il grande sogno. Adesso che da sotto la montagna di cenere abbiam scoperto esserci ancora delle braci accese, in tanti ricorderanno quell’insegnamento lasciato da Confucio: “Si può sconfiggere il generale che comanda tre armate, ma non si può smuovere la ferma volontà di un uomo semplice”. Se poi quell’uomo oltre che semplice è pure onesto, prima di sfidarli in battaglia occorrerebbe informarsi di che pasta è fatto il loro ardire. La loro voglia matta e testarda di sputtanare il male.

La cattiveria umana, che è grande, si compone in gran parte di invidia e paura: invidia per sentirsi incapaci di fronte all’altro migliore di me, paura di doverlo sfidare sapendo di perdere in partenza. “Abbiamo vinto noi!” dicono i cattivi di questa triste faccenda di doping mascherato. Gli altri due, invece che dire “No, abbiam vinto noi”, tacciono. Riprendono a marciare. Una risposta che manco i cattivi s’immaginavano. Il male non resta mai senza punizione, “è che la punizione, a volte, è segreta” (A. Christie). Resta segreta finché, lungo un’argine, non inizia a mostrare che faccia ha.