Per 52 mesi ha dovuto ingoiare rospi di ogni tipo: boicottaggi, ostruzionismi, menzogne, dati falsi, inganni, diffamazioni, scorrettezze processuali di ogni genere, insomma una frode processuale in piena regola. Figurarsi se, dopo tutto questo, il Gip di Bolzano Walter Pelino si fa dare impunemente del fazioso, del malato di protagonismo, del ciarlatano dalla Wada, dalla World Athletics e dai loro dirigenti o fiancheggiatori. Minacciavano di denunciarlo, si troveranno denunciati.
L’ultima goccia è arrivata la scorsa settimana durante la Domenica Sportiva della tv svizzera Rsi. In quell’occasione il direttore generale dell’Agenzia mondiale antidoping Olivier Niggli – dopo aver definito “falsa” l’anomalia di concentrazione del Dna nelle urine di Schwazer – ha accusato il giudice Walter Pelino di aver tolto dalla sua “sentenza” (l’ha chiamata così) alcune prove, emerse nei test sperimentali del perito del Tribunale e sfavorevoli a Schwazer. Quali?
I dati della concentrazione del Dna misurati su alcuni volontari sarebbero a suo dire “addirittura più elevati di quelli trovati nelle urine di Schwazer”. I pochi che hanno avuto la costanza di seguire le udienze del processo di Bolzano sanno perfettamente che questa interpretazione fu facilmente smontata dal perito del Tribunale, ma sarebbe bastata la sola logica di qualsiasi normodotato a confutarla. Breve riassunto: i valori superiori a quelli di Schwazer secondo Niggli sarebbero quelli dell’urina di sette volontari (su 100) testati da Lago coi valori massimi pari a 8762, 5190 e 5147 pg/µl contro i 1180 attribuiti al marciatore. Orbene, pur sorvolando sul fatto che i soggetti in questione abbiano rispettivamente 41, 56 e 51 anni (contro i 31 di Schwazer all’epoca del prelievo incriminato) e vengano definiti patologici, la verità è che quei valori non sono assolutamente comparabili con quelli di Schwazer: il dato dei volontari è ricavato infatti dalla loro urina fresca, quello di Schwazer dopo 26 mesi di degrado. Dopo due anni infatti quei valori di concentrazione del Dna di 8762 e il 5147 sono scesi infatti a 118 e 437 contro i 1180 dell’urina di Schwazer, tra l’altro più vecchia di 2 mesi.
Quel che è peggio per Niggli però è che il giudice Pelino non ha affatto censurato questi dati nella sua ordinanza. Ci dedica addirittura 4 pagine (34-37)! Se quindi qualcosa di “falso” c’è in questa vicenda è che lei, caro Niggli, abbia davvero letto l’ordinanza, oltre alla sua strampalata interpretazione, sulla quale costruisce una diffamazione bella e buona ai danni del Gip.
Il direttore generale della Wada concede addirittura il bis quando tutto tronfio annuncia che presso il Laboratorio antidoping di Losanna testarono nel 2017 un campione di urina di Schwazer con valori di concentrazione del Dna persino più elevati rispetto a quelli accertati dal Ris di Parma. Questa affermazione viene sbugiardata dal giudice in una ventina di pagine dell’ordinanza dove si parla di “mistificazione della realtà”, “dati del tutto inattendibili indicati senza scala di riferimento e senza allegazioni di sorta allo scopo di ingannare il Pm e il giudice”, come parte appunto del reato di frode processuale. Assumendo in toto le menzogne presentate nel processo, Niggli non solo si espone a una possibile denuncia penale da parte del giudice ma a una delegittimazione del suo ruolo, che non può più ricoprire se la Wada vuole recuperare un minimo di credibilità (impresa quasi disperata).
A margine (molto a margine) di tutto ciò, mi segnalano un sito dedicato alla marcia, che a tale disciplina ha dedicato 4 notizie negli ultimi 18 mesi a fronte di 14 news contro Schwazer, una delle quali spiega che l’abnorme concentrazione di Dna nelle sue urine è dovuto all’uso frequente della bici nei suoi allenamenti… La qual cosa tra l’altro deve avere mandato in analisi la categoria dei ciclisti professionisti, che non avendo mai riscontrato nei vari studi scientifici fin qui fatti valori di concentrazione del Dna nelle urine fuori norma, deve essere caduta in massa in una spirale depressiva. Su tale sito web inoltre si esprime sdegnato stupore per il fatto che i giornalisti durante pubbliche udienze in Tribunale acquisiscano gli atti depositati dalle parti e rese disponibili ai media, che dovendo informare la pubblica opinione accedono alle carte processuali. Tale stupore è del tutto comprensibile in chi si fa megafono di “verità” istituzionali: non ha bisogno di leggere gli atti di un processo, bastano le veline degli avvocati.
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