Deve essere proprio un incubo se, ormai messo fuori causa in tutte le sedi, Alex Schwazer continua ciononostante ad agitare il sonno del sistema sportivo mondiale. Capita perciò che l’ex marciatore riceva qualche giorno fa una mail firmata da Brett Clothier, il capo della Athletics Integrity Unit (Aiu), l’organismo disciplinare e di vigilanza della Federazione internazionale di atletica. Tanto per intenderci sono quelli che – facenti funzioni di Comitato etico – avrebbero dovuto indagare sui propri tesserati accusati di reati processuali dal giudice di Bolzano Walter Pelino nell’ordinanza di archiviazione del caso Schwazer e che invece si dichiararono “incompetenti” per non dovere eventualmente condannare il loro capo pro-tempore Thomas Capdevielle, finito nel mirino del magistrato italiano.
“Caro Alex – recita la letterina – hai tempo fino al 18 ottobre per dare i chiarimenti necessari”. Su cosa? Sulla violazione dell’articolo 40.12 (a) che proibisce a uno squalificato di prendere parte a iniziative di enti o club affiliati direttamente o indirettamente alla Federazione internazionale di atletica (ora World Athletics). Urca! Cosa avrà combinato stavolta? Gli viene contestata la presenza il 10 settembre a Treviso (in realtà a Zero Branco) in un incontro dove il suo allenatore Sandro Donati presentava il libro I signori del doping (dedicato guarda caso alle vicende processuali del caso Schwazer).
Il signor Clothier – con la stessa faciloneria e superficialità usata nella localizzazione dell’evento – dà poi per scontato che l’organizzatore fosse l’Atletica Quinto Mastella (affiliata alla Fidal) ed elenca compiaciuto di questa caccia alle streghe la presenza all’evento di ben sei nomi di atleti o dirigenti tesserati. Se fosse stato minimamente professionale, Clothier avrebbe preso il suo bel ditino indice e, prima di inviare una lettera di contestazione, si sarebbe premurato di reperire sul web il comunicato stampa dell’invito alla manifestazione, scoprendo così che l’organizzatore dell’incontro con Donati non era l’Atletica Quinto (al massimo patrocinatore) ma l’Assessorato allo sport del Comune di Zero Branco.
Che dire? Fossimo in Schwazer, non potendo infoltire la scorta di carta igienica con la mail di Clothier, la ignoreremmo o al massimo risponderemmo con un vaffa trilingue. Ma si dà il caso che Alex campi allenando amatori e nel 2024 (termine della squalifica) magari vorrebbe allargare i suoi servizi anche ai professionisti; e invece Clothier gli rifila un altro annetto di squalifica, tanto a loro frega nulla della verità dei fatti, conta solo dove produci le tue prove.
E così al bolzanino toccherà pure fare finta di prendere sul serio questa mail dell’Aiu presumibilmente basata su un esposto dello stesso autore degli altri: una decina in 6 anni, ovviamente tutti respinte al mittente. Questo soggettino deve essere però ritenuto ormai parte virtuale dell’organigramma dell’Aiu, se tale organismo “etico” neppure si premura di verificare la verosimiglianza dell’esposto. Del resto i simili si cercano e si trovano.
Ennesima figuraccia insomma del non credibile sistema sportivo: fa il paio con l’altra che raccontiamo, una conferma purtroppo che il giornalismo da noi è morto e sepolto. Succede che Wada necessiti di una strategia di comunicazione che ripulisca agli occhi dell’opinione pubblica italiana la deteriorata (usiamo un eufemismo) immagine di un organismo descritto dal giudice Pelino più come associazione a delinquere che credibile garante dell’Antidoping. Grazie a un rapporto indiretto con Sky viene messa in piedi una bella intervistona al direttore generale della Wada Oliver Niggli, sì, quello che diceva che Donati non ha mai collaborato con la Wada e quest’inverno si è improvvisamente ricordato dell’esatto contrario; quello che alla tv svizzera ha diffamato il giudice di Bolzano accusato di aver censurato dati nella sua ordinanza, mentre quei dati cui alludeva Niggli occupavano ben 4 pagine; quello che ha ventilato denunce al Csm, mai partite; quello che a inchiesta finita nominò consulente Wada un pregiudicato.
Bene! Secondo voi nell’intervistona a Niggli, quando gli hanno chiesto di Schwazer, la giornalista Sky gli ha forse timidamente chiesto conto di tali nefandezze? Troppo genuflesso il media che rappresentava per pensare di farlo. Persino quando Niggli l’ha sparata grossa – “il processo sportivo è stato rigoroso, più di quello penale” –, non solo non gli hanno ricordato che quello era durato un giorno e l’altro cinque anni, non solo hanno taciuto che era talmente rigoroso da non accorgersi della contraddittoria versione di chi aveva portato le provette da Racines a Colonia, ma al proposito hanno voluto essere addirittura più realisti del re: i due giornalisti in studio hanno spiegato con aria saccente che il famigerato controllo antidoping di Capodanno fu effettuato dalla Nado Italia e che gli implicati nel controllo erano usciti puliti dall’inchiesta della magistratura.
Ci rifiutiamo di infierire su questa colossale menzogna perché solidarizziamo coi due catapultati in studio da Marte. Potevano loro sapere che il controllo di Capodanno fu ordinato e fatto dalla Iaaf e non dalla Nado Italia? No, perché in quasi 5 anni di udienze al processo di Bolzano, quelli di Sky (a differenza di Rai e Mediaset) si sono presentati una sola volta! Che potevano saperne? E possiamo pretendere che in questo contesto di umiliazione della dignità giornalistica qualcuno potesse chiedere conto a Niggli dei reati emersi durante il processo: frode giudiziaria, falso ideologico, diffamazione?
Sorvoliamo pure sull’endorsement finale in studio pro Wada, del tutto pleonastico, ma anche molto autorevole viste le premesse.
Requiem per la professione.
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