A stagione invernale felicemente conclusa, gli ottimi bilanci della montagna-neve vengono puntualmente inquinati dalle consuete polemiche, tipo lo sci è una pratica non più sostenibile, le piste rovinano gli ecosistemi, l’innevamento artificiale distoglie patrimoni idrici, gli impianti sono imprese energivore. Così, in più occasioni e in più incontri, si sta cercando di fare chiarezza, perché le preoccupazioni sull’ambiente sono ovviamente encomiabili, ma le fake news decisamente no.
Si deve partire dai dati, che vedono circa 400 aziende impegnate negli impianti a fune, con 15.000 dipendenti e un fatturato annuo medio di 1,2 miliardi di euro, a far leva sul valore complessivo del turismo invernale di oltre 9 miliardi. Si tratta di non trascurabili segmenti industriali di produzione di Pil, in Italia e negli altri Stati dell’arco alpino, player che si sono recentemente riuniti a Innsbruck per “Interalpin 2023”, il più importante salone internazionale sulle tecnologie alpine, una tre giorni che ha visto tra l’altro l’assise di OITAF (l’organizzazione mondiale del trasporto a fune), che riunisce anche gli organi direttivi di Fianet (Fédération Internationale des Associations Nationales d’Exploitants de Téléphériques), associazione presieduta da Valeria Ghezzi, la presidente dell’italiana ANEF, aderente a Confindustria.
“Interalpin è stata un esempio della vitalità del nostro settore – ha detto Ghezzi -, per le numerose innovazioni tecnologiche presentate, che sono la base per migliorare la sostenibilità. Le aziende investono costantemente per migliorare e rendere sempre più efficienti e rispettosi dell’ambiente gli impianti e le tecnologie a servizio delle stazioni sciistiche e della montagna”. “I gestori degli impianti a fune sono consapevoli di operare in ambienti delicati e sono i primi ad avere a cuore la tutela della montagna – ha chiarito sempre Ghezzi in un’altra occasione, il convegno “Nevediversa, il turismo invernale ai tempi della transizione ecologica”, organizzato da Legambiente a Torino -. Per noi, e per le intere comunità che contribuiamo a sostenere, le terre alte sono patrimonio e prodotto. Siamo quindi ben disposti a dialogare con chiunque voglia collaborare costruttivamente. Ma perché si costruisca bisogna però partire da dati di realtà. Sentiamo spesso, per esempio, parlare in termini negativi della neve tecnica, quando questa non è composta che di sole acqua ed aria, senza nessun additivo. Acqua che viene semplicemente presa in prestito in autunno per essere naturalmente rilasciata nell’ambiente in primavera. Si considerano poi gli impianti come ferite alla montagna, quando sono mezzi di trasporto a emissioni zero che rendono accessibili le vette, o di disboscamenti selvaggi quando la superficie boschiva è in crescita in tutte le Alpi (solo lo 0,03 % del suolo italiano è occupato da piste/impianti). E ci si preoccupa per le elevate emissioni, quando impianti e sistemi di innevamento funzionano con energia elettrica per la maggior parte ricavata da fonti rinnovabili. In realtà, per gli impiantisti è vitale lavorare in un’ottica di sostenibilità: ambientale, sociale ed economica. Solo coniugando questi tre aspetti è possibile mantenere un equilibrio tra la tutela dei territori e la tutela delle comunità che vivono in montagna”.
Fino a qui le posizioni di ANEF, ovviamente partigiane, ma facilmente verificabili. La premessa è che per puntare alla sostenibilità occorra comunque mitigare le emissioni e i consumi, e in questo percorso acquistano valore le certificazioni ambientali, i ranking, obiettivi per i quali sempre più località turistiche sono al lavoro. Ma vediamo allora i punti in discussione tra ambientalisti e ANEF. Per quanto riguarda gli impianti di risalita, è vero che tutti utilizzano motori elettrici, zero emissioni, scarso impatto sonoro, praticamente inesistente soprattutto negli impianti più recenti. Capitolo neve tecnica: è vero che si tratta di aria e acqua, né cloro né altri additivi. Si usano gli invasi (molti dedicati) o i corsi d’acqua, vero, ma poi la neve scioglie, e il tutto viene in buona parte naturalmente restituito. Grazie agli innevamenti programmati, le stagioni possono svolgersi senza impedimenti, e possono allungarsi, con soddisfazione non solo degli impiantisti, ma di tutte le economie dei territori e ovviamente degli addetti. Capitolo energia: è vero che per gli impianti si usa prevalentemente quella idroelettrica e rinnovabile, certo però in alte dosi, con conti divenuti salati e riversati parzialmente anche sui costi di skipass e abbonamenti.
Sostanzialmente, dunque, sembra che le obiezioni di merito siano frutto di una contrapposizione abbastanza sterile e concettuale, che si può tradurre in una scelta: meglio puntare alla conservazione delle terre alte nella loro più originale conformazione naturale (stop agli impianti, stop agli investimenti, stop al turismo) o bisogna lavorare per una montagna in grado di rispondere alle esigenze dei mercati, evitando emigrazioni e spopolamenti, e garantendo l’economia locale? In realtà, una terza via sembra quella più in grado di assicurare un futuro “sostenibile” alle comunità montane: rispettare il territorio, investire nella sua conservazione anche modulando in modo soft gli eventuali interventi, puntare sulle nuove tecnologie per ottenere strutture sempre meno impattanti e senza ricadute sgradite, proporre modelli di crescita che possano tener conto del benessere di tutti, turisti, residenti, lavoratori e imprenditori.
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