Uno studio del 12 febbraio scorso partorito dalla autorevole rivista scientifica “Science” manda un durissimo “messaggio” ai Governi e alle autorità sanitarie: «se continuano i lockdown il Covid-19 potrebbe rimanere tra noi ancora 10-20 anni». Il tema è dunque tanto sanitario quanto politico: la pandemia e il suo perdurare dipende «dalle nostre capacità di far diventare il virus endemico», sminuendo la forza virulenta purtroppo come attualmente è ancora. Sono in particolare due scienziati – Jennie S. Lavine del Dipartimento di Biologia della Emory University, Atlanta (Usa) e Ottar N. Bjornstad del Dipartimento di Biologia e del Centro Dinamica delle malattie infettive dell’Università dello Stato della Pennsylvania – che hanno sviluppato lo studio suffragata un anno di dati raccolti e intitolato “Immunological characteristics govern the transition of COVID-19 to endemicity”.
Il report, ripreso da Affari Italiani e Il Giornale, sostiene che il Covid sia ormai così diffuso che resta quasi impossibile l’eliminazione diretta del virus: siamo dunque condannati a convivere chiusi in casa con mascherine per il resto dei nostri giorni? Tutt’altro, e qui viene il bello e il sorprendente dello studio scientifico di “Science”.
LE CONCLUSUONI DI ‘SCIENCE’ CONTRO IL LOCKDOWN
L’essere umano da tempo immemore convive con altri coronavirus ormai divenuti endemici (come l’influenza, ad esempio) e che seppur infettano ancora non provocano più gravi malattie essendo stati indeboliti nella loro aggressività avendo ormai come rapporto di mortalità per infezione (IFR) pari allo 0,001. Nello studio di “Science” si sostiene come il coronavirus circolerà velocemente – con R0=6 – e dunque tanto più in fretta potrà essere reso endemico e non più pandemicamente letale: se si continua però a limitarne la diffusione, serviranno almeno 10 o 20 anni per uscire da questa situazione. «L’immunità che blocca le infezioni diminuisce rapidamente ma che l’immunità che riduce la malattia è di lunga durata», spiegano gli scienziati nelle conclusioni dell’importante report sul Covid-19.
Serve dunque agire con strategie diverse da quelle riscontrate finora e dimostratisi inefficaci (lockdown e chiusure a macchia di leopardo): «affinché la maggior parte delle persone venga infettata così presto nella vita, persino più giovane del morbillo nell’era pre-vaccino, il tasso di attacco deve superare la trasmissione dalle sole infezioni primarie», ribadisce Science. Di fatto, concludono i due scienziati, «una volta che i dati demografici dell’infezione raggiungono uno stato stazionario, il nostro modello prevede che i casi primari si verifichino quasi interamente nei neonati e nei bambini piccoli, che, nel caso di Covid-19, sperimentano un CFR basso e un IFR contemporaneamente basso».
Sembra un controsenso, ma la conclusione è proprio questa: per ridurre il Covid-19 va fatto circolare il più rapidamente possibile, «se è necessario un frequente potenziamento dell’immunità mediante la circolazione virale in corso per mantenere la protezione dalla patologia, allora potrebbe essere meglio che il vaccino imiti l’immunità naturale nella misura in cui previene la patologia senza bloccare la circolazione del virus in corso». Da ultimo, Science sottolinea come in questo particolare coronavirus, il vaccino che risulta il principale per efficacia è quello a base di adenovirus – ovvero AstraZeneca – perché «è migliore nel prevenire infezioni gravi rispetto a quelle lievi o asintomatiche, e sarà importante produrre tecnologie simili per gli altri vaccini».