Si è spento pochi giorni fa all’età di 85 anni, Benoît Mandelbrot, matematico e studioso della complessità, universalmente noto per aver introdotto, negli anni ’60, una nuova branca della geometria, quella dei frattali. La principale caratteristica dei frattali, come lui stesso ha dichiarato in un’intervista, è semplice: «sono uguali quando li guardi da molto vicino o da molto lontano». Al grande pubblico sono noti per le loro forme sorprendenti e dotate di una strana bellezza; ma in questi 50 anni è stato scoperto un vastissimo spettro di fenomeni che hanno proprietà frattali e le scoperte continuano.
Paolo Musso, che ha studiato le sue opere e l’ha conosciuto personalmente, così lo ricorda.
Che effetto fa incontrare un uomo che vi ha cambiato la vita senza saperlo?
Io l’ho scoperto sette anni fa, quando sono andato a Rimini per intervistare Benoît Mandelbrot, scopritore della geometria frattale, per conto di “Emmeciquadro”, una rivista di cultura scientifica con cui collaboravo (e collaboro tuttora).
Se Mandelbrot non avesse scoperto i frattali, io non avrei mai fatto la tesi di dottorato sul caos deterministico e tutta la mia carriera, forse tutta la mia vita, sarebbe stata diversa. Forse non sarei neanche mai diventato un filosofo della scienza, perché quella tesi, poi diventata libro (Filosofia del caos, Franco Angeli Editore), fu un passaggio determinante in tal senso. Ma moltissima altra gente potrebbe dire lo stesso: se non ci fosse stato Mandelbrot, la loro vita sarebbe stata diversa.
Mandelbrot infatti ha influenzato una quantità enorme di campi di ricerca, ben al di là della sola matematica: come egli stesso dice nell’intervista, si è occupato anche di fisica e di economia, ma le conseguenze delle sue scoperte si estendono sempre più ogni anno che passa, giungendo a toccare gli aspetti più imprevisti e apparentemente remoti della scienza e della tecnologia, dalla genesi delle strutture biologiche complesse alla dinamica dei terremoti alla distribuzione delle galassie nell’Universo fino ai nuovi radiotelescopi basati sul sistema dell’array, cioè non più un’unica, sempre più grande e quindi sempre più ingestibile parabola, ma moltissime piccole antenne collegate da un computer e disposte appunto in base ad uno schema frattale. E la sensazione è che non sia affatto finita qui, ma che il meglio debba ancora venire.
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Ecco, la cosa che vorrei sottolineare per concludere questo breve ricordo personale è proprio questa: con Mandelbrot si aveva sempre l’impressione che il meglio deve ancora venire. Nonostante il suo influsso più decisivo sulla mia vita fosse avvenuto diversi anni prima, nonostante lui stesso avesse già 78 anni, nonostante si parlasse per forza di cose soprattutto del passato, lo sguardo era sempre rivolto in avanti.
Perché, come dice Mandelbrot alla fine dell’intervista, “l’occhio non si stanca”: può stancarsi la nostra capacità di ragionamento, ma non la nostra capacità di contemplare la realtà, nella sua inesauribile bellezza e mistero. Per questo sguardo Mandelbrot è stato più che un genio: è stato un maestro. E di ciò lo voglio ringraziare pubblicamente. Il resto, se permettete, lo tengo per me.