Buone notizie (forse) sul fronte della preparazione scientifica degli studenti italiani: secondo le ultime analisi dell’Ocse-PISA (Programme for International Student Assessment) diffuse in questi giorni, stiamo risalendo la classifica e ci avviciniamo alle posizioni medie; anche se in matematica restiamo alle spalle di Paesi come Belgio, Slovenia, Ungheria e Portogallo.

Sono dati che fanno discutere e ci sarà modo di valutarli e criticarli puntualmente. Nel frattempo, può essere utile metterli a confronto con un’altra indagine, meno famosa ma altrettanto utile per comprendere le attitudini dei giovani verso le scienze: è il rapporto ROSE – the Relevance of Science Education, uno studio comparativo internazionale volto a mettere in luce gli orientamenti e le opinioni che influenzano l’apprendimento della scienza e della tecnologia negli studenti delle scuole superiori. È un progetto complementare al PISA: mentre quest’ultimo è centrato sulla rilevazione dei livelli di conoscenza, ROSE si focalizza sulla percezione e sugli atteggiamenti verso scienza e tecnologia.

L’indagine, avviata per la prima volta nel 2000 in Norvegia, viene svolta in 40 Paesi e fino a due anni fa l’Italia mancava all’appello; ora, grazie all’impegno di “Observa – Science in Society” e al sostegno della Conferenza Nazionale dei Presidi delle Facoltà di Scienze, la lacuna è stata colmata e nel volume “Scienza e nuove generazioni” (Edizioni Observa) si possono trovare i risultati della prima survey realizzata a fine 2008 su un campione ottenuto selezionando per ogni regione due istituti, un liceo e uno di orientamento tecnico, e all’interno di ciascun istituto due classi del secondo anno.

Come era prevedibile, i dati rivelano aspetti positivi e negativi. Per un verso gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado esprimono interesse e fiducia nei confronti della scienza, dall’altro lo studio delle materie scientifiche risulta poco attraente e difficile, anche se la sua importanza non viene sottovalutata.

Considerando nel loro insieme i livelli di interesse rispetto ai vari ambiti tematici, i curatori del rapporto individuano quattro profili che identificano diversi tipi di studente: lo studente onnivoro, più interessato della media a scienza e tecnologia; quello disinteressato, che esprime un atteggiamento distaccato verso qualsiasi argomento; quello ambientalista, che privilegia gli aspetti applicativi con particolare riferimento alle problematiche energetiche e ambientali; infine il salutista che manifesta particolare attenzione nei confronti del corpo e della salute. Non stupisce più di tanto sapere che la maggior parte degli studenti (28,5% del campione) rientra nel profilo dell’ambientalista, mentre al secondo posto si collocano gli onnivori (27,4%); i salutisti sono il 27%  e i disinteressati il 17%.

Fanno riflettere, tra gli altri, alcuni  risultati che da un lato confermano le tendenze già emerse in precedenti indagini, per cui i giovani manifestano un’elevata fiducia verso la scienza, considerata necessaria per il generale miglioramento della qualità della vita; dall’altro però la figura dello scienziato non raccoglie giudizi molto positivi, lasciando trasparire dubbi e perplessità. Solo uno studente su quattro pensa che "Dovremmo sempre fidarci di quello che dicono gli scienziati" e appena il 46% si esprime a favore dell’affermazione "Gli scienziati sono neutrali e obiettivi". Tra l’altro, anche sul versante storico, tutti gli studenti si dimostrano scarsamente interessati alle notizie sugli scienziati famosi e sulle loro vite; segno di un’idea di scienza slegata dall’esperienza vitale di chi la pratica.

Sono quattro i tipi di scienziato identificati dalle risposte degli studenti: lo scienziato tradizionale, che opera all’interno di un’area di ricerca definita e conosciuta; lo scienziato scopritore, capace di dare spiegazioni a fatti ancora ignoti, di trovare nuove cure e nuove fonti di energia; l’inventore e lo scienziato eroe, mosso dal desiderio di salvare il mondo da malattie o da catastrofi, di compiere imprese impossibili in nome dell’umanità. Qui c’è una certa sorpresa: più della meta del campione (51,4%) si riconosce nell’immagine tradizionale; il 28,2% si immedesima nello scienziato intento a scoprire nuove formule e nuovi metodi per spiegare i fenomeni naturali; mentre gli inventori e gli eroi risultano meno gettonati, pur essendo abbondantemente proposti dai media e dalla science fiction.

 

Infine, proiettando  i risultati sul versante delle professioni, si nota una scarsa attrazione per il lavoro dello scienziato. Gli studenti hanno infatti chiaramente espresso la preferenza verso professioni in grado di valorizzare le loro caratteristiche e potenzialità personali, ma che lascino anche ampi spazi per poter coltivare rapporti e interessi extra-lavorativi. Il lavoro di scienziato viene sì percepito come ricco di opportunità creative e di espressione delle qualità individuali, ma viene interpretato anche come un’attività che richiede una dedizione e un investimento talmente forti da diventare quasi totalizzante, fino al punto da imporre la rinuncia alla possibilità di trovare soddisfazione in altri ambiti.

Se questi dati sono generalizzabili, significa allora che l’azione da esercitare per promuovere l’interesse per le discipline scientifiche non può limitarsi a trovare accorgimenti per “interessare” e “attrarre” ma deve scavare più a fondo, andando a toccare quei livelli della persona che hanno a che fare con le motivazioni profonde e le esigenze elementari dell’uomo. Si potrebbe scoprire, con sorpresa di tanti neo-scientisti,  che la scienza non è estranea a questi livelli.