Chissà come sarebbe stato contento Giovanni Virginio Schiaparelli se avesse potuto consultare le immagini che la missione MRO, Mars Reconaissance Orbiter, ha scattato orbitando attorno al pianeta rosso. Del grande astronomo piemontese ricorre quest’anno il centenario della morte e lo ricorda con un documentato articolo Pasquale Tucci, docente di storia della fisica all’università di Milano, sull’ultimo numero della rivista Emmeciquadro.



Tucci segnala che è stato proprio in una notte di agosto, precisamente il 23 agosto 1877, che Schiaparelli osservò per la prima volta Marte dall’Osservatorio Astronomico milanese di Brera del quale era direttore; un’osservazione che lo renderà famoso, oltre a provocargli non pochi problemi; anche se famoso era già per aver scoperto il pianetino Esperia, per i suoi studi sulle stelle doppie, sulle comete, sulle stelle cadenti e sulle meteoriti. Ma è all’accuratezza della mappatura del suolo marziano che Schiaparelli deve la maggior fama, che gli è valsa anche una citazione nel celebre romanzo di fantascienza “La Guerra dei Mondi” (1898) di H. G. Wells.



E non c’è modo migliore di celebrare l’anniversario che approfittare dell’esuberanza mediatica della Nasa che ha recentemente messo a disposizione ben 600 immagini della superficie di Marte scattate dallo strumento HiRISE(High Resolution Imaging Science Experiment) tra il 5 aprile e il 6 maggio scorsi. Guardando questa sequenza di immagini è possibile ammirare tutta una serie di stupefacenti paesaggi marziani: tortuosi burroni, catene montuose, strapiombi scoscesi e flussi di lava.

Sono quei segni e quel tipo di strutture che hanno indotto 120 anni fa lo Schiaparelli a parlare dei “canali” marziani, riprendendo in verità un’espressione già introdotta vent’anni prima dal grande astrofisico gesuita padre Angelo Secchi. I “canali di Marte” resteranno sempre legati al suo nome e Tucci ci rivela una singolare origine linguistica degli equivoci che tale denominazione doveva provocare: «Quello che destava maggior sensazione erano i canali: già solo la loro regolarità era intrigante; ma essi acquisirono un significato del tutto particolare a causa dell’ambiguità del termine nella lingua italiana rispetto a quella inglese. In quest’ultima, infatti, canale può essere tradotto sia come canal che come channel.



Nel primo caso indica una canale artificiale (come quello di Suez), mentre nel secondo un canale naturale (come quello della Manica). Essendo stato tradotto canal i lettori di lingua inglese capivano che si aveva a che fare con canali artificiali e quindi, implicitamente, supponevano la possibile esistenza di esseri intelligenti in grado di progettarli e costruirli».

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D’altra parte l’astronomia di fine Ottocento non aveva certo a disposizione gli strumenti degli scienziati della Nasa e si può comprendere la difficoltà dell’interpretazione dei dati se si considera la modalità con cui si svolgevano le osservazioni: «All’epoca, in mancanza di una tecnica fotografica accettabile, il risultato delle osservazioni di un pianeta veniva reso pubblico mediante disegni di particolari della sua superficie eseguiti a mano: una procedura difficile e faticosa. Un occhio dell’osservatore era incollato all’oculare del telescopio (Schiaparelli osservava con l’occhio sinistro) e l’altro occhio guidava la mano che disegnava. Il disegno di ciò che si osservava doveva essere fatto in tempi brevissimi perché rapidamente potevano cambiare le condizioni di osservazione a causa della turbolenza dell’atmosfera terrestre o a causa di cambiamenti sulla superficie del pianeta o a causa del movimento relativo della Terra e del pianeta».

 

Schiaparelli peraltro era un osservatore rigoroso, poco incline alle interpretazioni fantasiose: «Dal punto di vista della rappresentazione Schiaparelli usava una tecnica diversa da quella usata dai suoi predecessori. Questi ultimi davano maggiore importanza al colore o al tono dell’immagine piuttosto che alla linea e al tratto: da questo derivava una descrizione del pianeta come un insieme di macchie. Il nostro, invece, si concentrò sulla linea e sui contorni, prestando attenzione anche a minimi particolari visualizzati nelle osservazioni. Questo gli consentiva di trasformare un’osservazione qualitativa in una descrizione basata sulla geometria e sul calcolo, in analogia alla descrizione della superficie terrestre. E in questo egli fu un vero pioniere».

 

La sua impostazione metodologica gli imponeva di restare fedele ai fatti osservati e anche quando tutti lo ritenevano leader del partito (poi sconfitto) dei “canalisti”, egli dichiarava che “i canali sono elementi fattuali, ma è prematuro avanzare delle congetture sulla loro natura”.

 

Una prudenza che ora non riguarda più i canali ma vale comunque per gli oltre 100mila miliardi di bit di dati (più del’insieme di tutte le missioni spaziali finora realizzate) inviati a Terra in meno di 4 anni di attività dalla sonda MRO.