“Da piccola volevo fare il medico, ma all’ultimo anno del liceo scientifico a Monza ho avuto un’illuminazione. Facevo la babysitter in una famiglia e il padre dei bambini che seguivo, un docente di fisica, mi disse: il fisico è un’artista che non sa disegnare”.

È Maria Ubiali, docente di fisica teorica nell’Università di Cambridge, a raccontare così l’inizio della sua passione per la disciplina che studia la natura, la materia, i fenomeni naturali, per comprenderne le leggi universali. Ora le ricerche di Ubiali spaziano dalla teoria della fisica delle particelle alla fenomenologia, dalla formulazione di previsioni teoriche precise da confrontare con i dati sperimentali raccolti al Cern di Ginevra, con il quale collabora attivamente, all’affronto delle questioni fondamentali aperte sulla struttura del protone e sull’origine dell’universo.



La professoressa Ubiali è il classico esempio di una giovane laureata in Italia che, senza rinunciare al matrimonio e alla maternità, all’estero ha sviluppato una brillante carriera universitaria, a partire dal dottorato congiunto iniziato nel 2006 all’Università di Edimburgo in Scozia e all’Università di Lovanio, in Belgio. Trasferitasi ad Aquisgrana, in Germania, nel 2010 per un post dottorato, è rientrata in Gran Bretagna nel 2013 come ricercatrice a Cambridge, per poi assumere il ruolo di professoressa di fisica teorica e direttrice di progetti di ricerca mirati allo studio della struttura del protone.



“Mi ero sempre sentita un’artista – riprende Ubiali – e avrei voluto dipingere, pur non possedendo alcuna abilità pittorica. Perciò, sono stata colpita da quella percezione della fisica come una possibilità di descrivere la realtà in una maniera quasi artistica e ho cercato di capire di cosa si trattasse. Più ci guardavo dentro e più mi appassionavo”.

Poi, cos’è accaduto?  

Una ricercatrice, che si occupava di fisica delle particelle, mi ha portato al Dipartimento di Fisica dell’Università a Milano, dove ho colto la parola più ricorrente: “bellezza”. Perciò, ho deciso di studiare fisica e non mi sono più pentita. E questa passione mi ha portata in luoghi dove non avrei mai pensato di arrivare.



Lei collabora anche con il Cern di Ginevra.

Mi sono sempre occupata della fisica delle particelle elementari da un punto di vista teorico, perciò a provare ad interpretare i dati che arrivano dal Cern, per comprendere cosa c’è oltre al modello standard delle particelle elementari, un modello che funziona benissimo, ma che sappiamo essere incompleto. Ed è una grande avventura cercar di capire che cosa c’è oltre ciò che vediamo. Sicuramente c’è qualcosa di più grande, ad energie più alte, che possiamo solo cercare di captare da piccoli indizi che la realtà ci dà negli esperimenti.

Oltre ai maestri che ha avuto, quali sono stati gli altri fattori determinanti?  

Non perdere la passione dell’inizio, continuando ad approfondire, a capire cose nuove. Però i maestri sono importanti anche per superare i momenti di aridità, oppure quando i progetti e le equazioni non tornano. In quelle occasioni per fare un passo in più non bisogna essere da soli.

C’è dell’altro?

Una cosa molto bella è il contatto con gli studenti, con i colleghi; l’altro è sempre un’occasione per fare un passo in più, per approfondire le conoscenze in cui ci buttiamo, ma che non possediamo.

Ha incontrato ambienti e mentalità diverse. Come si superano le problematicità?

Andando all’estero si esce dalla propria comfort zone, però ne val la pena, perché dietro alle difficoltà c’è sempre qualcosa da scoprire, ci sono altri che rappresentano una ricchezza per me. E la cosa più bella è stato scoprire che il cuore dell’uomo è lo stesso, c’è una sete che accomuna tutti. Lavorando insieme ci si conosce di più e s’impara dalle differenze degli altri.

Tutto ciò non le ha precluso la famiglia e la maternità

Nel mio ambito sono una delle poche donne con tre bambini e frequentemente mi chiedono qual è il mio segreto. La tentazione è rispondere che ho trovato un equilibrio, ma non è vero, perché non ho mai trovato un equilibrio nella mia vita e ne ringrazio Dio. Il nostro lavoro ci chiede tanto e anche i figli chiedono tutto. Perciò, non si può dare meno di tutto e per me la cosa fondamentale è stato cercare di uscire dall’idea di un equilibrio che costruisco io, dandomi delle regole, ma di stare a ciò che c’è; quando sono con i figli non apro il pc e affido alla Provvidenza ciò che non riesco a fare. E quando sono al lavoro do tutto ciò che posso dare.

C’è qualcosa d’irrinunciabile?

È fondamentale che dentro a tutto, nello stare con i figli, con il marito, con gli amici e nel lavoro, ci sia una passione per l’ideale, ciò per cui val la pena spendere la vita, che non sono mai i figli o il lavoro, ma una cosa più grande, che si vede sia nei figli, sia nel lavoro. Ultimamente, il mio io è lo stesso, sia che stia con i figli che a tenere un seminario con migliaia di persone. Sono lì per rispondere a qualcosa più grande di me.

Cosa si guadagna?

L’ideale permette di accettare anche i propri limiti, come quando, dopo una notte problematica per la salute dei figli, può accadere che la lezione non sia la migliore della mia vita; ma non importa, affido la lezione, come riesco a farla. Frequentemente, mi sono accorta che anche i limiti, le vulnerabilità possono essere occasione di rapporto e di scoperta di una dimensione ancora più grande, che non sia la mia efficienza.

Lei affronta ogni giorno il rapporto tra scienza, fede e ragione. Di quale di questi tre temi infiniti preferisce parlarci?

Di tutti tre, perché il punto di unità più bello, che continuo a scoprire nella vita da quando ho ritrovato la dimensione della fede, è l’unità. Nel senso che la realtà è una, è molto più grande di noi, non l’abbiamo creata noi. La scienza, la ragione e la fede ci vengono dati per conoscere sempre di più la realtà, in tutti i suoi aspetti.

Non c’è contraddizione tra scienza e fede?

Da quando la fede è diventata reale nella mia vita, sono diventata una scienziata migliore, perché la fede mi ha spinto alla passione verso la realtà creata, bella, di cui ci è donato di capire qualcosa, che trovo affascinante. I tre termini indicati vivono un’unità che mi si rivela sempre più profonda.

Siamo ancora nell’ambito del centenario dalla nascita di don Giussani. Ha imparato qualcosa da lui?

Potrei parlarne per ore, anche se non l’ho conosciuto personalmente. Per me è stato importantissimo, lo sento come padre per tanti motivi, in particolare per come ci ha sempre insegnato a vivere intensamente la realtà, a non schermarci mai da qualunque tipo di realtà, perché la realtà è il luogo dove possiamo conoscere di più chi siamo noi e chi è Dio. Giussani ha preso le domande del vangelo e me le ha fatte capire incarnate nella vita. Nel mio ufficio ho appeso la domanda di Gesù ‘Cosa importa all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde se stesso?’. È la domanda che mi guida come ricercatrice: cosa importa se pubblico un articolo in più, se ho delle posizioni di potere accademico, ma perdo la passione che mi ha portata fin qui? Per me Giussani ha fatto diventare la fede un punto appassionante per la vita, e per quella delle persone attorno a me.

Ha visto la mostra virtuale dedicata a don Giussani per il centenario dalla nascita?

È bellissima, una miniera, mi piace moltissimo quando don Giussani parla del metodo di conoscenza, quando parla delle premesse de Il senso religioso, perché risuona il principio di unità a cui tutta la mia vita anela e sono la chiave di lettura per molti problemi che incontriamo tutti i giorni come essere umani e, in particolare, come scienziati.

(Flavio Zeni)

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