È abbastanza noto che l’inventore del Velcro ha preso ispirazione dai piccoli uncini con cui i frutti di bardana si attaccano ai peli degli animali favorendo la disseminazione zoocora.
È meno noto che studiare i viventi per trovare soluzioni tecnologiche a problemi della vita quotidiana ha fatto nascere un nuovo campo di ricerca, chiamato biomimetica o biomimicry per sottolineare le connessioni tra la Natura e uno sviluppo in armonia con gli ecosistemi (si imita la Natura per fare innovazione sostenibile).
Il racconto di una giovane universitaria che, in Erasmus a Tel Aviv, ha potuto conoscere i centri di ricerca più avanzati in questo ambito di indagine e che ha approfondito il tema in preparazione alla tesi di laurea in Design degli Interni al Politecnico di Milano.



 

Biomimetica, dal greco bios, vita e mimesis, imitazione, conosciuta anche come Biomimica, consiste nello studio e nell’osservazione della Natura per trarne ispirazioni e soluzioni formali e funzionali. Questa scienza si pone a sostegno e implemento delle scienze progettuali, riconoscendo la genialità della Natura nel costruire nel modo più efficiente, con il minor dispendio di energie e materiali.



Nel contesto italiano i termini Biomimetica e Biomimica sono praticamente sinonimi e corrispondono a quella che in ambito internazionale viene chiamata Biomimicry: non una «copia» della Natura, ma una imitazione per «progettare» soluzioni innovative e sostenibili ai problemi della vita quotidiana.

 

Introduzione alla Biomimetica

Il mondo naturale contiene infiniti esempi di mirabile capacità di problem solving, con lo studio della struttura e formazione di sostanze e materiali prodotti biologicamente, e i loro meccanismi e processi, si può arrivare alla riproduzione artificiale dei suddetti, applicandoli come soluzione di problemi tecnici, costruttivi, organizzativi, meccanici o strutturali. La biologia diventa così un campo ricchissimo di risorse e stimoli, da tradurre in soluzioni realizzabili con l’impiego di linguaggi di programmazione e codificazione, modellazione e stampa 3D, nanotecnologie e biomateriali. Queste tecnologie hanno reso possibile la creazione di prodotti o superfici in grado di rispondere agli stimoli ambientali in maniera programmata, alterando le proprie proprietà fisiche, raccogliendo ed elaborando informazioni, avvicinandosi al comportamento dei viventi. La traduzione di questi esperimenti, osservazioni e tracce è diventata una metodologia anche in altri campi di applicazione: nelle industrie, agricoltura, architettura e progettazione urbana, produzione, gestione delle risorse umane, trasporti e mondo municipale.



Lo scrittore inglese John George Wood (1827-1889), estensore di una famosa Storia Naturale Illustrata (Illustrated Natural History, 1851) e di altre pubblicazioni con lo scopo di rendere la natura interessante anche per le menti non-scientifiche, nel suo Nature’s Teachings: Human Invention Anticipated by Nature, pubblicato nel 1877, dice: «Infatti, come le invenzioni umane esistenti sono state anticipate dalla Natura, così si troverà sicuramente che nella Natura giacciono i prototipi di invenzioni non ancora rivelate all’uomo. I grandi scopritori del futuro saranno, quindi, coloro che guarderanno alla Natura per l’Arte, la Scienza o la Meccanica, invece di vantarsi di qualche nuova invenzione, per poi scoprire che esiste nella Natura da innumerevoli secoli.»

 

Biomimetica: esempi storici

L’esempio forse più famoso di imitazione della natura per risolvere un problema della vita quotidiana è il Velcro, inventato nel 1941 dall’ingegnere svizzero George de Mestral (1907-1990). La fonte di ispirazione sono le piante di bardana (Arctium lappa), le cui brattee che circondano i frutti contenenti i semi sono fornite di minuscoli orpelli a forma di uncino, al fine di aumentare il proprio raggio di disseminazione.

 

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Elena Camisasca
(Laureanda in Design degli Interni presso il Politecnico di Milano)

 

© Rivista Emmeciquadro

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