L’uso spregiudicato del gerrymandering è uno dei problemi ricorrenti nel funzionamento della democrazia negli Stati Uniti. È un problema politico, giuridico, matematico, statistico e informatico allo stesso tempo.
Vengono qui  indicate due linee delle linee su cui si muovono i tentativi di definire (e quindi riconoscere) il gerrymandering.



Il termine (partisan) gerrymandering si riferisce alla manipolazione di distretti elettorali allo scopo di avvantaggiare un partito politico. Stiamo parlando di un sistema elettorale maggioritario, nel quale il paese e diviso in distretti elettorali, ciascuno dei quali elegge a maggioranza un rappresentante, che dovrebbe agire a nome e nell’interesse del distretto che lo ha eletto.



Il gerrymandering e un problema particolarmente serio riguardo all’elezione della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti (cioè la camera bassa del Congresso), per la quale devono essere eletti 435 membri. Come esempio, assumiamo che il paese abbia 50 votanti, di cui 30 fedeli al Partito Quadrato e 20 fedeli al Partito Rotondo. Supponiamo che tutti votino e che il paese debba essere diviso in 5 distretti elettorali, con 10 elettori ciascuno. In un sistema elettorale proporzionale il Partito Quadrato avrebbe il 60% dei voti (dunque 3 rappresentanti) e il Partito Rotondo avrebbe il 40%. Nella Figura 1 vediamo a confronto i risultati di tre diverse scelte della suddivisione del paese in 5 distretti.



Nel Piano 1 ogni partito ha la percentuale di rappresentanti (3 per il Partito Quadrato e 2 per il Partito Rotondo) uguale alla sua percentuale di voti.
Il Piano 2 e il «sogno del Partito Quadrato», che ottiene tutti e 5 i rappresentanti.
Il Piano 3 e il «colpaccio del Partito Rotondo», che ottiene 3 rappresentanti e ha quindi, contro tutte le aspettative, la maggioranza nel paese.
Il Piano 2 e il Piano 3 sono esempi (con esiti opposti) di gerrymandering.

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Giancarlo Travaglini
(Dipartimento di Matematica e Applicazioni, Università di Milano Bicocca)

© Rivista Emmeciquadro

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