Nel primo Novecento nasce l’era antibiotica (sulfamidici e antibiotici) che ha dato la speranza di eliminare tutte le infezioni. Si è trattato però di una illusione; infatti, come precisa l’articolo, per selezione naturale si sono sviluppati dei «superbatteri», resistenti a qualsiasi antibiotico noto; ciò anche per un talora indiscriminato uso dei medicinali, che ha favorito la comparsa di mutanti resistenti. C’è quindi il rischio di un’era post-antibiotica che farebbe ripiombare nella situazione precedente l’introduzione degli antibiotici. Nella parte finale l’articolo espone le strategie, alcune già in corso, per la soluzione a breve e a lungo termine del problema dell’antibioticoresistenza.
Non solo Covid-19. Una pandemia «nascosta», più subdola e insidiosa di quella che stiamo ora vivendo, minaccia la salute degli uomini. Un’emergenza globale, paragonabile o forse ancora più grave rispetto a quella del clima che tanto preoccupa l’umanità, la cui soluzione non può essere rimandata. È andato emergendo lentamente, crescendo poi «sotterranea» in misura esponenziale negli ultimi decenni e divenendo un serio problema medico, «oscurata» in questi ultimi due anni dalla pandemia di Covid-19. Si tratta della «resistenza batterica» (più conosciuta con il termine di antibioticoresistenza), espressione con la quale in ambito sanitario si indica il fatto che molti germi patogeni che provocano infezioni nell’uomo non sono più sensibili ai farmaci antimicrobici oggi disponibili. Essi si trasformano così in «superbatteri», microrganismi potenzialmente mortali per i malati, come accadeva prima della scoperta e dell’impiego degli antibiotici.
Era antibiotica: l’illusione di eliminare le infezioni
Per secoli le malattie infettive sono state la principale causa di malattia e di morte.
Con l’avvento della pratica vaccinale a fine Ottocento – potenziata e incrementata nel secolo successivo – , la successiva messa a punto dei sulfamidici nei primi anni del Novecento e poi con la scoperta e l’uso sempre più diffuso degli antibiotici a partire dal secondo dopoguerra, le infezioni si sono drasticamente ridotte nel giro di qualche decennio. Azzerate quasi, ma non eliminate completamente, dando l’illusione che il problema delle malattie infettive, nei paesi del mondo occidentale, fosse finalmente risolto, al punto tale che, come ha affermato recentemente lo storico Frank M. Snowden, «l’errore più grande commesso nel XX secolo è stato credere che le malattie infettive stavano per essere eliminate».
In questi ultimi anni lo scenario sanitario è rapidamente cambiato mettendoci di fronte a una situazione infettivologica alla quale non eravamo più abituati. Le ragioni sono molteplici: in parte «oggettive», legate ai meccanismi naturali dell’evoluzione biologica e culturale, ma in parte anche «soggettive», dovute a interventi poco virtuosi e ad atteggiamenti irrazionali dell’uomo.
Sul piano evolutivo i batteri patogeni (cioè i microrganismi che causano le infezioni) col tempo hanno imparato a «difendersi» dagli antibiotici che li uccidevano, sviluppando ceppi in grado di resistere a questi «assalti farmacologici». È nata così l’antibioticoresistenza, cioè il fatto che un batterio non viene più distrutto da un farmaco antimicrobico e quest’ultimo diventa di fatto un’arma spuntata, non più in grado di guarire l’infezione. Si tratta di un fenomeno naturale, ma favorito e accentuato negli ultimi anni da un uso improprio degli antibiotici (cioè il loro impiego superfluo o inadeguato) in ambito medico e veterinario. Al punto tale che nel 2017 l’ONU non ha esitato a definire l’antibioticoresistenza un’emergenza globale non meno importante di quella climatica.
Proprio i cambiamenti climatici, insieme alla globalizzazione, giocano un ruolo rilevante nel determinare la «migrazione» di agenti infettanti (batteri e virus) e dei loro possibili vettori (le zanzare), che viaggiano e circolano nel mondo come le persone, insediandosi – se trovano le condizioni adatte – anche in ambienti nei quali prima non erano presenti, come accaduto recentemente in Italia.
In questo nuovo scenario sanitario dobbiamo imparare a utilizzare razionalmente le strategie più efficaci per tenere testa alle infezioni. Accanto alla terapia farmacologica che, nonostante la citata farmacoresistenza, se usata razionalmente e consapevolmente, consente oggi di guarire la maggior parte dei pazienti infetti, il metodo più efficace è quello di mettere l’organismo in grado di difendersi autonomamente anche senza l’uso di antimicrobici. Lo si può fare attraverso la vaccinazione, che è in grado di prevenire la malattia.
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Vittorio A. Sironi
(Docente di Storia della medicina e della sanità e di Antropologia medica. Direttore del “Centro studi sulla storia del pensiero biomedico”, Università di Milano-Bicocca)