Il testo appartiene alla collana Le grandi voci che raccoglie «testi brevi e vivaci che riproducono i tempi e lo stile di una lectio magistralis in cui prestigiosi scienziati ed esponenti della cultura italiana tracciano la loro esperienza di studiosi, trasmettono la loro passione e presentano le loro ricerche». In questo caso Amalia Ercoli Finzi – prima donna a laurearsi in ingegneria aeronautica in Italia, Professore Onorario al Politecnico di Milano e Principal Investigator dell’esperimento SD2 della missione Rosetta – ci guida con tratti autobiografici nella corsa allo spazio della seconda metà del secolo scorso.
Tale corsa è stata contraddistinta da tre passi fondamentali: il primo satellite artificiale, il primo uomo nello spazio, la prima missione su un corpo celeste. Il 4 ottobre 1957 i russi hanno lanciato lo Sputnik. Il suo sviluppatore, Mikhail Khomyakov, lo chiamò PS1 dove S stava per Sputnik e P è la lettera iniziale della parola russa prostejshij che significa «semplice», per dire che meno di così non si poteva fare. Nella prospettiva dell’anno geofisico internazionale (IGY, International Geophysical Year) nel luglio del 1957 gli americani annunciarono il lancio di un satellite artificiale. I russi, che inizialmente avevano un progetto per un satellite con molteplici strumenti dedicati allo studio dell’atmosfera, dei raggi cosmici e del campo magnetico terrestre, abbandonarono il progetto in quanto, per ragioni politiche, il lancio doveva avvenire nello stesso 1957 per battere gli americani sul tempo. Optarono per un satellite più semplice per dimostrare al mondo che la Russia possedeva la tecnologia per accedere allo spazio e quindi conquistare quel primato che avrebbe conservato per anni. Da notare che in entrambi i casi, e sarà così per tutta la fase dei lanci per l’orbita terrestre, i vettori per il trasporto di satelliti e navicelle erano derivazioni di prodotti per uso militare (razzi intercontinentali per testate nucleari).
Al lancio dello Sputnik seguirono altri lanci sia russi sia americani: non va infatti dimenticato che la corsa allo spazio era un elemento strategico per la guerra fredda. I lanci di satelliti furono seguiti da lanci con animali a bordo, fra successi e clamorosi insuccessi, e infine nel 1961 fu la volta del primo uomo nello spazio. Il 12 aprile la notizia era stata trasmessa dall’agenzia di stampa russa TASS con un sobrio comunicato: «Il 12 aprile 1961 l’Unione Sovietica ha messo in orbita attorno alla Terra la prima navicella spaziale al mondo con un uomo a bordo, la Vostok. Il pilota-cosmonauta della navicella è il cittadino dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, maggiore Jurij Alekseevic Gagarin. Il lancio della navicella si è svolto con successo. Una comunicazione radio è stata stabilita con il cosmonauta compagno Gagarin, che sta bene.»
In realtà la notizia era già in mano degli americani che volevano sincerarsi che non fosse solo propaganda e per questo avevano costruito stazioni radio in posizioni strategiche. Insomma a 58 minuti dal lancio il mondo già sapeva che il volo era in atto. Le stesse stazioni radio avevano già intercettato i due lanci precedenti, Sputnik 9 e Sputnik 10, entrambi con cani a bordo, vivi ancora al rientro, e un manichino che nella manovra di rientro veniva lanciato mediante seggiolino eiettabile e raccolto intatto sulla Terra. Entrambi con l’obbiettivo di testare la sopravvivenza sia al volo sia al rientro catapultato.
A questo punto c’è da domandarsi: il programma Vostok aveva raggiunto quella maturità che consentiva di mandare un uomo nello spazio con la ragionevole sicurezza di riportarlo sulla Terra sano e salvo? Il responsabile della fase di addestramento dal 1960 al 1971 Nicolai Petrovic Kamanin scriveva in un diario, pubblicato dopo la sua morte, «Gagarin o Titov, chi sarà il primo di loro a pagare con la sua vita questo audace tentativo?», una impresa che giudicava pericolosa e non adeguatamente preparata. Seguirono diversi voli sempre con uomini a bordo fino a Vostok 6 che fu affidato alla prima astronauta donna, Valentina Tereskova. Ma mentre i russi sviluppavano il programma Vostok gli americani lavoravano al programma Mercury che solo nel febbraio del 1962 portò John Glenn a fare tre orbite intorno alla Terra a bordo della Friendship 7. Questa situazione che metteva in dubbio la capacità dell’America di essere una grande potenza chiamata a decidere i destini del mondo, richiedeva una azione eccezionale che desse una svolta strepitosa e definitiva alla storia dell’esplorazione spaziale.
L’idea di mandare un uomo sulla Luna e farlo tornare sulla Terra non era nuova né per gli americani né per i russi, ma solo i primi ci riuscirono. Tre cose furono essenziali: il lanciatore, la strategia di accesso, i finanziamenti. Per il programma Apollo i finanziamenti arrivarono da John Fitzgerald Kennedy che stabilì: «Nessuna nazione che aspiri a essere la guida delle altre può attendersi di rimanere indietro nella corsa allo spazio». La strategia di accesso scelta fu quella di rendez vous in orbita lunare cioè lanciare in orbita lunare la navicella separandone il modulo di discesa e risalita e facendo tornare sulla Terra solo quello di comando. Per il lanciatore fu introdotto il Saturn V progettato specificamente da Wernher von Braun per portare in orbita lunare il modulo di comando più i moduli di allunaggio. Il 20 luglio del 1969 il modulo di allunaggio atterò nel mare della Tranquillità e dopo poco i due a bordo, Neil Amstrong e Buzz Aldrin, scesero sulla superficie della Luna. Dopo le attività previste dal piano e un riposo di sette ore decollarono dalla Luna e si ricongiunsero con il modulo di comando dove era rimasto Michael Collins. La capsula ammarò vicino all’isola di Wake il 24 luglio alle 16:50.
Secondo i rendiconti pubblicati nel 1973 il programma Apollo costò 25,4 miliardi di dollari distribuiti su dieci anni. Ma valeva la pena spendere così tanto e spedire verso la Luna un razzo di 110 metri recuperandone solo un abitacolo di 6 metri cubi di volume? La risposta è definitivamente sì per l’enorme ritorno politico e tecnologico dell’impresa: oltre a sconvolgere gli equilibri mondiali, ha dato un impulso inimmaginabile alle tecnologie in tutti gli ambiti interessati, mettendo le basi per quelle che sarebbero state poi le caratteristiche peculiari del nostro oggi. Quali saranno gli avvenimenti che coinvolgeranno le nuove generazioni? Se l’innovazione tecnologica procederà con il ritmo attuale allora il futuro delle attività spaziali (i.e. creare un avamposto permanente sulla Luna e mandare un equipaggio su Marte) sarà pieno di sorprese che miglioreranno le condizioni della vita sulla Terra.
Pieno di riferimenti tecnici e di episodi sia della vita degli interpreti della corsa allo spazio sia della vita della autrice in quegli stessi anni, il libro si fa leggere gradevolmente.
Amalia Ercoli Finzi
Corsa allo spazio 1, 2, 3… via!
Edizioni Dedalo, Bari 2021
Pagine 94 euro 12,50
Recensione di Renzo Gorla