All’inizio del quindicesimo e ultimo capitolo del libro l’autore dichiara: «La maggior parte degli studenti delle scuole superiori e dell’università detestano la fisica perché di solito questa materia viene insegnata come un complicato set di formule matematiche. Non è questo l’approccio che utilizzo al MIT, e non è l’approccio che ho utilizzato in questo libro. Mi piace presentare la fisica come un modo per osservare il nostro mondo, svelando territori che altrimenti non avremmo modo di esplorare, dalla più minuscola delle particelle subatomiche alla vastità dell’Universo. […] Qualsiasi pioniere della fisica ha cambiato il modo con cui guardiamo il mondo. […] È per questo motivo che noto un legame affascinante tra la fisica e l’arte; anche l’arte pionieristica rappresenta un modo nuovo di vedere, un nuovo modo di osservare il mondo. […] quando frequentavo le scuole superiori mio padre mi fece visitare musei e gallerie, e fu allora che iniziai a innamorarmi dell’arte che mi ha insegnato nuovi modi di vedere il mondo. […] iniziai presto ad andare nei musei da solo e acquisii un po’ di conoscenze. […] Finii per tenere delle lezioni su van Gogh alla mia classe quando avevo quindici anni […]. Quindi è stata l’arte a introdurmi davvero all’insegnamento. È stato in quei momenti che ho imparato quale sensazione straordinaria sia insegnare ad altre persone – di qualsiasi età – per aprir loro la mente verso nuove realtà. È davvero una vergogna che l’arte sembri così oscura e difficile, proprio come lo sembra buona parte della fisica a coloro che hanno avuto insegnanti di fisica mediocri.»
Il libro, insieme alle lezioni dell’autore disponibili sul web, è sicuramente l’evidenza di una capacità straordinaria di comunicare l’amore per la fisica che egli ha maturato. Oltre ai temi specifici affrontati colpisce il riferimento costante all’esperienza personale con i suoi successi, ma anche con gli insuccessi. Paradigmatico da questo punto di vista il racconto dell’esperienza con i palloni aerostatici lanciati per portare negli strati più alti dell’atmosfera dei telescopi in grado di misurare le emissioni di raggi X ad alta energia provenienti da sorgenti distribuite nell’Universo distanti decine di migliaia di anni luce. L’autore proprio per l’esperienza personale afferma: «[…] non esiste fisica senza misure. E, aspetto altrettanto importante, non esistono misure significative senza incertezze». Ogni esperimento nasceva attraverso sistematici test di ogni parte coinvolta nell’esperimento e di ogni passo previsto per l’esperimento stesso. Tempo ed energie erano spese senza riserve: «Non potete immaginare quanto questo genere di ricerca fosse impegnativo: stavo via di casa per due mesi almeno un anno sì e uno no (talvolta tutti gli anni). E non c’è dubbio che a causa di ciò il mio primo matrimonio abbia sofferto molto».
Altro aspetto non trascurabile è come i fisici siano soggetti come tutti gli umani a errori di valutazione: «Nel 1968 incontrai Jan Oort a casa di Bruno Rossi. Era uno degli astronomi più famosi, estremamente lungimirante […] gli mostrai i dati raccolti con i palloni aerostatici nel 1966 e 67. Ma egli mi disse – me lo ricorderò per sempre – “L’astronomia a raggi X è semplicemente poco importante” […]. Forse perché ero più giovane e affamato – a essere onesti a quel tempo egli aveva 68 anni – ma per me era ovvio che stavamo raccogliendo oro puro, e avevamo appena iniziato a raschiare la superficie.»
E come sia facile dare per scontato che il lavoro degli altri non sia altrettanto valido del nostro: «Torniamo al 1967 anno in cui il fisico russo Josef Shlovsky propose un modello per Sco X-1. “In base a tutte le sue caratteristiche, questo modello corrisponde a una stella di neutroni in accrescimento […]”. Che idea bizzarra, vero? Venne fuori che Shlovsky aveva ragione […] e la maggior parte di noi non prese la sua idea troppo seriamente. Capita spesso con la teoria. Penso di non offendere nessuno dei miei colleghi teorici dicendo che la maggior parte delle teorie in astrofisica si rivelano sbagliate. Quindi, ovviamente noi astrofisici osservativi non prestiamo molta attenzione alla maggior parte di esse.»
E ancora: «Più tardi, quello stesso anno (1976), saltò fuori dal nulla la traduzione di un articolo Russo del 1975 proprio sui lampi di raggi X che riportava la rilevazione di emissioni esplosive compiuta nel 1971 con il satellite Kosmos 428. Ne restammo sbalorditi: non solo i russi avevano scoperto i lampi di raggi X, ma avevano addirittura battuto l’Occidente! Tuttavia, man mano che sentii parlare sempre più di questi lampi, diventai via via sempre più scettico. […] La cortina di ferro non aiutava a seguire l’evolversi della questione: non c’era modo di scoprire qualcosa di più. Ma durante l’estate del 1977 ebbi la grande fortuna di essere invitato a partecipare a una conferenza di alto livello in Unione Sovietica. […] mi mostrarono i dati relativi a diversi lampi, molti di più di quelli che avevano pubblicato nel 1975. Capii immediatamente che nulla di tutto ciò aveva senso, ma non lo dissi loro, per lo meno non subito. Prima incontrai il loro capo Roald Sagdeev […]. Gli dissi che volevo parlare con lui di un qualcosa di piuttosto delicato. Egli suggerì di non incontrarci nel suo ufficio (le cimici erano ovunque), così uscimmo. Gli spiegai per quale motivo ritenevo che le loro esplosioni non fossero quello che essi pensavano, e lui capì immediatamente. Gli dissi che temevo che se ne avessi parlato al mondo quegli scienziati avrebbero potuto finire seriamente nei guai con il regime sovietico. Egli mi assicurò che ciò non sarebbe successo e mi incoraggiò a incontrarli e a dir loro cosa avevo raccontato a lui. Così feci, e quella fu l’ultima volta che sentimmo parlare dei lampi di raggi X sovietici. E vorrei aggiungere che siamo ancora amici! […] Gli shit burst erano stati prodotti da diversi satelliti russi alimentati da generatori elettrici nucleari che contenevano sorgenti radioattive estremamente forti […] ricordate le esplosioni rivelate dai russi nel 1971? Sono praticamente certo che anche quelle siano state causate dai satelliti russi…che ironia!»
Sicuramente da menzionare infine è la conclusione del quattordicesimo capitolo: «…giorno dopo giorno i fisici ottengono quantità di dati sempre maggiori, e inventano teorie sempre più ingegnose. L’unica cosa di cui sono certo è che qualsiasi cosa essi trovino, propongano o teorizzino, scopriranno nuovi misteri. In fisica, un numero maggiore di risposte conduce a un numero ancora maggiore di domande.»
Walter Lewin
Per amore della fisica
Edizioni Dedalo, Bari 2021
Pagine 360 euro 15,90
Recensione di Renzo Gorla