Un evento morboso che distrugge la «normalità» provoca un «danno», cioè una perdita anatomica o funzionale, una «disabilità», l’incapacità cioè di assolvere certi compiti, infine un «handicap» l’impossibilità di ricoprire in modo adeguato un ruolo nella società. A questa situazione, che l’autore descrive nell’introduzione, si può rispondere con quella che viene detta riabilitazione. Ma la storia è lunga e i suoi sviluppi sono descritti in questo interessante saggio, esteso e documentato.



Nel mondo antico, greco e romano, ma anche dell’estremo oriente la disabilità non viene curata, ma «eliminata»: i bambini disabili vengono soppressi. Fa eccezione Ippocrate (460 a.C-370 a.C) con cui  nasce una concezione razionale della malattia, e quindi la consapevolezza che, almeno in alcuni casi, un trattamento può ridurre l’handicap dei disabili.



Un atteggiamento diverso sulla disabilità nasce però con il cristianesimo. La disabilità è un aspetto della «sofferenza innocente che, con Cristo, è diventata luogo privilegiato dove Dio risiede».

I primi tentativi di cura hanno origine ancora nella cultura romana, nella ginnastica intesa come esercizio che fortifica il corpo, anche ai fini militari. Con Celsio e Galeno il movimento inteso come ginnastica e l’acqua delle cure termali erano gli elementi basilari delle tecniche riabilitative romane.

Ma una vera e propria storia della ginnastica medica inizia nel Rinascimento, favorita anche dalla riscoperta del corpo umano nell’arte (si pensi ai disegni di Leonardo) e nella scienza medica.



Il protagonista di questo periodo è Mercuriale (1530-1606), autore di un testo fondamentale, De arte gymnastica. Nei sei libri che lo compongono vengono riprese le opere di Ippocrate e Galeno, ma in una chiave più moderna: la sua ginnastica medica non è solo un sano esercizio fisico, ma costituisce già in nuce un percorso riabilitativo strutturato nell’ambito di un approccio basato sulle tecniche della psicomotricità. In questo capitolo, come anche in altri, l’autore dà spazio a dei riquadri di approfondimento (in questo caso brani del testo di Mercuriale), che costituiscono una importante caratteristica di questo saggio.

In seguito, a partire dal Settecento si sviluppa una ginnastica medica dedicata alla riabilitazione funzionale. Le tecniche riabilitative si sviluppano maggiormente nell’Ottocento, grazie anche al contributo di fisiologi e anatomisti. Alla ginnastica cinetica attiva viene aggiunta una ginnastica meccanica passiva: vengono allo scopo prodotti una serie di macchinari tesi a mobilizzare articolazioni rigide o modificare posture scorrette. Nella seconda parte dell’Ottocento si moltiplicano le tecniche fisioterapiche: in particolare la osteopatia e il metodo Pilates.

Accanto all’ambito ortopedico le tecniche riabilitative vengono sviluppate in via crescente anche in campo neurologico, soprattutto a partire dall’inizio del Novecento. Viene citato uno dei metodi più famosi e discussi, il metodo Doman, basato su una forte sollecitazione delle vie sensitive, che risale agli anni Cinquanta del Novecento.

Al recupero fisico e neurologico si aggiunge quello psicologico: alla riabilitazione si accompagna una più complessa rieducazione neuropsicologica, soprattutto nel caso dell’afasia.

Segue quindi un capitolo dedicato al contributo italiano alla medicina riabilitativa. Figura centrale, a cui è dedicato largo spazio, è quella di don Gnocchi per cui la riabilitazione doveva avere un aspetto sociale, quello di «restaurare la persona». Questo atteggiamento era particolarmente importante, per il grande numero di “mutilatini” fra i bimbi vittime della seconda guerra mondiale, a cui don Gnocchi dedicò gran parte delle sue energie. Su questa linea il contributo del medico Adriano Milani Comparetti (fratello di don Milani), secondo il quale dalla riabilitazione istituzionale (cioè dentro le strutture ospedaliere) bisognava passare a quella territoriale, per esempio coinvolgendo i genitori nelle tecniche riabilitative.

Un altro capitolo viene poi dedicato alla «medicina riparatoria» cioè agli ausili e le protesi in seguito al danno subito per una amputazione. Per ausili si intendono strumenti esterni come bastoni, carretti, eccetera che favoriscano il movimento. Più interessante è la storia delle protesi. Inizialmente, a partire dal Cinquecento erano di tipo metallico, poi di altri materiali, fino ad arrivare alle protesi mioelettriche e a quelle bioniche. A fine Novecento si inaugura poi la vicenda delle protesi biologiche, con un trapianto di mano avvenuto nel 1998. Un’ultima frontiera è quella della riabilitazione robotica.

Infine, nel settimo capitolo, si affronta l’antropologia della disabilità, che comporta il superamento delle barriere culturali ancor oggi esistenti verso questo aspetto della diversità esistenziale. Parte di questa impostazione antropologica prevede anche il superamento, grazie agli ausili, di barriere ritenute invalicabili. Di qui la promozione di attività sportive per i disabili, che ha avuto come esito anche l’istituzione dei giochi internazionali paralimpici a partire dal 1960: dal 2001 questi giochi sono stati sistematicamente abbinati alle Olimpiadi.

Come conclusione di tutto il percorso, tenendo presente lo sviluppo della riabilitazione, si accenna alla variazione terminologica recente: non disabili, ma «diversamente abili», termine che riassume l’esito del reinserimento fisico e sociale delle persone affette dalle più varie infermità.

 

 

Vittorio A. Sironi

Superare la disabilità

Storia e antropologia della riabilitazione

Carocci Editore, Roma 2022

Pagine 195   euro 19

Recensione di Lorenzo Mazzoni