Il caso delle illusioni ottiche ha molto da dire sul funzionamento del nostro cervello: non si tratta di un errore del cervello ma di un inevitabile e prezioso lavoro di interpretazione che può esserci di grande aiuto per vedere meglio la realtà.Alcuni clamorosi esempi relativi alla percezione dei colori.
L’enciclopedia Treccani per i ragazzi definisce le illusioni ottiche come “quei fenomeni che si verificano quando il cervello si lascia ingannare dai sensi e percepisce cose che non esistono o non possono esistere oppure interpreta in modo sbagliato ciò che vede”.
Questa definizione in realtà crea qualche problema, soprattutto per l’uso del verbo ingannare e per quel “in modo sbagliato” assegnato all’azione interpretativa. Non vi è alcun dubbio, infatti, che le illusioni ottiche nascano in molti casi da un’interpretazione che il nostro cervello fa della realtà, ma è tutt’altro che certo che questa interpretazione sia rivolta ad ingannarci. D’altronde per quale ragione il nostro cervello vorrebbe ingannarci?
Quello che accade in moltissime situazioni è che l’interpretazione del nostro cervello, che viene a modificare il segnale che è fornito dalla realtà, ci aiuta a vedere meglio la realtà stessa.
L’interpretazione è dunque tutt’altro che un inganno, ma un aiuto importantissimo.
Un esempio è evidente nella Figura 1, creata dallo studioso britannico Beau Lotto. Chiunque osserva la figura può notare una evidente differenza di luminanza tra la parte superiore e quella inferiore dell’oggetto al centro della scena.
Si ricorda qui che la luminanza è la quantità di luce che da una superficie arriva al rivelatore, che in questo caso è il nostro occhio. La differenza è talmente elevata che la parte superiore risulta grigia scura, mentre la parte inferiore è chiara.
Nessuno può negare il proprio stupore quando scopre che in realtà le due parti sono esattamente dello stesso colore, come si può apprezzare in Figura 2 e come ognuno può verificare sulla Figura 1 coprendo quello che “inganna” la vista, cioè tutto ciò che sta intorno e soprattutto tra le due zone grigie.
Il nostro occhio non è un misuratore assoluto
Quello che accade infatti è che solo la parte centrale della struttura ha davvero dei valori di grigio molto diversi tra loro, uno completamente bianco e uno nero. La vicinanza di queste zone è ciò che ci fa percepire diversamente i due grigi identici presenti nella parte superiore e inferiore.
Questo accade perché il nostro occhio non è mai un misuratore assoluto, non fa mai misure assolute! Con misure assolute intendiamo misure che non devono confrontarsi con nulla, se non con la grandezza di base.
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Alessandro Farini(Laboratorio di Psicofisica ed Ergonomia della Visione – Istituto Nazionale di Ottica – CNR)