«La vita non si è evoluta combattendo, ma cooperando». L’autore, profondo conoscitore dell’ambiente marino, protagonista di campagne di ricerca nel Mediterraneo, in Asia e nell’Artide, svolge un’affascinante ricostruzione del cammino evolutivo degli invertebrati solo apparentemente più semplici. Anche con immagini suggestive documenta l’apparente contrapposizione tra «difesa di sé e apertura all’ambiente». Per esempio: i fosfolipidi delimitano la cellula, ma le proteine permettono gli scambi con l’ambiente; l’epitelio delle prime spugne segna il confine dell’organismo, ma presenta pori che garantiscono il rapporto con il mondo esterno. In prospettiva, uno studio degli ecosistemi che interpreta anche la complessità e la biodiversità come esito della interazione tra fenomeni competitivi e cooperativi.
Quattro miliardi di anni fa, quando la superficie del nostro pianeta aveva raggiunto una temperatura compatibile con la presenza di acqua liquida, le molecole organiche cominciarono ad accumularsi, provenendo dallo spazio cosmico o prodotte in loco, grazie a reazioni che sono state messe in luce dal fatidico esperimento di Miller, più volte ripetuto, perfezionato e ampiamente discusso (Lazcano and Bada, 2003). D’altra parte, il passo che connette la formazione degli ingredienti con la comparsa del fenomeno «vita» è ancora molto misterioso, ma certamente ha incluso un momento nel quale i componenti della materia vivente si sono raggruppati e sono stati compartimentati in uno spazio definito. In fondo, il nome di cellula (piccola cella) che, in pieno Seicento, Robert Hooke attribuì al modulo base degli organismi viventi, richiama per l’appunto la delimitazione spaziale.
Questa delimitazione è stata ottenuta attraverso un sistema di membrane composte da fosfolipidi che, in ambiente acquoso, si chiudono spontaneamente su se stesse. Se si escludono una serie di composti lipofili e alcune molecole molto piccole, queste membrane sono ampiamente impermeabili e non consentono il passaggio delle molecole strutturali e di quelle necessarie al metabolismo cellulare. E così le antiche membrane si arricchirono di nuovi componenti, prevalentemente di natura proteica, che garantirono, in modo variamente selettivo, i passaggi dall’interno all’esterno della cellula.
Le proteine connesse con le membrane non hanno solo funzioni di trasporto ma anche di riconoscimento così che, molto precocemente, ogni cellula riesce a riconoscere sé dal resto. Insomma, l’antica cellula vive un compromesso tra una spasmodica ricerca di autonomia e delimitazione e una necessaria dipendenza con l’ambiente circostante sia nella sua componente inanimata che con quella vivente. Se posso azzardare un paragone elementare, le cellule mi fanno pensare a un castello medioevale, cinto di mura e torri che lo delimitano e proteggono, di bandiere e stendardi che lo identificano ma anche al centro di un flusso bi-direzionale di prodotti e servizi, da e verso il circostante contado, che devono attraversare il pur ben difeso cancello.
Autonomia e cooperazione
Questa costante ricerca di compromesso, che caratterizzerà l’intera evoluzione biologica, ha un suo snodo essenziale 1,5 miliardi di anni fa quando la documentazione fossile ci indica sia comparsa la cellula eucariotica. Bisogna ricordare che, nel frattempo, le condizioni ambientali sul pianeta erano profondamente cambiate, in gran parte a causa degli stessi organismi viventi. Il cambiamento più drammatico era stato causato dalla fotosintesi clorofilliana che aveva arricchito l’atmosfera di un suo sottoprodotto: l’ossigeno. Il cambiamento da un’atmosfera riducente a una ossidante apriva nuove sfide ma rappresentava, innanzitutto, un problema all’autonomia della cellula andando a minare, a causa dell’estrema reattività dell’ossigeno elementare e dei suoi temibili radicali, la struttura delle membrane fosfolipidiche.
È molto probabile che, proprio in quel frangente, sia iniziato il processo evolutivo che ha portato allo sviluppo delle cellule eucariotiche con il loro corredo di complessi organelli in gran parte legati al metabolismo energetico. Sembra proprio che batteri fotosintetici e altri capaci di metabolismo ossidativo siano stati inglobati all’interno di vacuoli nel citoplasma di altri batteri dando origine a strutture molto più complesse e metabolicamente coordinate. Ancora oggi possiamo trovare il marchio di questa antica inclusione nella doppia membrana che avvolge cloroplasti e mitocondri e nel DNA batterico che, indipendentemente da quello nucleare, ancora sovraintende alla duplicazione di questi organelli. Il lavoro di Lynn Margulis e colleghi ha rischiarato le fasi di questo fenomeno mostrando, in modo difficilmente confutabile, come, ancora una volta, l’autonomia cellulare sia stata salvata da processi cooperativi (Margulis, 1981).
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Giorgio Bavestrello
Professore Ordinario di Zoologia presso il Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita dell’Università di Genova