Anche il 2021 si è aperto con notizie di allagamenti, frane e valanghe che hanno causato disastri e difficoltà. Nessuna parte dell’Italia è risparmiata e si torna sempre più spesso a cercare soluzioni per evitare danni gravi non solo alle strutture geologiche ma anche alle persone. Molti «osservatori» tengono monitorate le situazioni più a rischio ma il «dissesto idrogeologico» è un fenomeno complesso e difficilmente modellizzabile. Abbiamo posto alcune domande chiave a Paolo Frattini, docente di Geologia Applicata all’università di Milano-Bicocca. Un approfondimento di grande interesse, utile anche nell’attività didattica.
Cosa si intende esattamente con l’espressione «dissesto idrogeologico»? In che modo e in che misura è legato a fenomeni naturali e a fenomeni e antropici? In Italia ci sono aree a rischio frane e alluvioni (come da rapporti ISPRA) conosciute da molto tempo, ma altri fenomeni distruttivi come per esempio gli effetti di tempeste violente sulla vegetazione o i pericoli generati da valanghe e slavine sono in parte imprevedibili?
Quando parliamo di dissesto idrogeologico ci riferiamo tipicamente a fenomeni geomorfologici legati all’acqua che minacciano il territorio e in particolare fenomeni erosivi, frane, alluvioni e in alcuni case le valanghe. È un termine non scientifico che suggerisce un contributo antropico nel creare condizioni di disturbo dell’ambiente naturale. Da questo punto di vista è anche un termine un po’ ingannevole, perché i fenomeni pericolosi fanno parte in molti casi di dinamiche evolutive del tutto naturali. Inoltre, il termine non si adatta a tutta una categoria di fenomeni meteorologici (grandinate, tempeste) che son molto legati a quelli sopra elencati. Sarebbe più utile parlare di pericolosità meteo e idrogeologica, per indicare tutti i fenomeni potenzialmente dannosi che sono legati in qualche modo all’acqua e che possono creare condizione di rischio per la società.
I disastri legati ai fenomeni meteo e idrogeologici sono sotto gli occhi di tutti e coinvolgono regioni diverse del nostro pianeta. Quindi il problema è complesso e ragionare su questi temi mi pare molto complicato. Quali campi di indagine e quali esperti sono coinvolti?
Il tema su cui ragionare è quello di rischio, ovvero la probabilità che si possano verificare delle perdite a seguito di un evento pericoloso. Come si capisce da questa definizione, lo studio del rischio include molteplici aspetti molto diversi: dall’individuazione dei fenomeni potenzialmente pericolosi alla loro caratterizzazione in termini di intensità e probabilità di occorrenza; dallo studio della vulnerabilità degli elementi a rischio al calcolo delle perdite attese e dell’accettabilità di queste perdite. È evidente che questi diversi aspetti richiedono numerose competenze diverse. I geologi si concentrano prevalentemente sulla pericolosità, partendo da una approfondita conoscenza del territorio, al fine di identificare e caratterizzare i fenomeni potenzialmente dannosi. Gli ingegneri si dedicano allo studio dell’impatto di questi fenomeni sulle strutture al fine di valutare i danni potenziali. Economisti e policy-maker possono quantificare questi danni in termini monetari e valutare la loro accettabilità per la società. Solo una reale collaborazione di queste figure professionali può consentire una efficace gestione del rischio. In Italia, bisogna riconoscere che questa collaborazione diventa sempre più efficace, anche grazie al ruolo di coordinamento della Protezione civile e degli enti di ricerca presenti sul territorio.
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a cura di Maria Cristina Speciani (Redazione Emmeciquadro)