L’autore presenta la posizione, in merito alla relazione tra scienza e fede, sostenuta da Joseph Ratzinger, noto come Benedetto XVI, Papa della Chiesa cattolica dal 2005 al 2013. Le idee del Pontefice emerito si inseriscono in un confronto teorico che ha particolarmente impegnato la Chiesa post-conciliare. Sono testi e discorsi, raccolti in una sorta di antologia sul tema in questione [1].Ciò che risalta non è soltanto la profondità con la quale Ratzinger si accosta a un argomento così complesso. Emerge, infatti, una piena consapevolezza delle tematiche peculiari del dibattito contemporaneo sul rapporto scienza-fede.La considerazione della ricerca scientifica come parte integrante di una più ampia dimensione del sapere, induce l’autore a evidenziare l’aspetto epistemologico relativo ai limiti della scienza e a invocare la necessità di un diverso approccio nei confronti delle sue affermazioni.
Un dibattito sul rapporto scienza-fede non può prescindere da una chiarificazione degli ambiti peculiari di queste due tipologie di conoscenza. Una definizione basilare di scienza, in grado di includere tutte le discipline che rientrano nel novero dei suoi contenuti, rimanda all’origine della scienza stessa.
L’impresa scientifica, secondo la contemporanea accezione del termine, nasce nel periodo della cosiddetta Rivoluzione Scientifica, quando una visione prettamente qualitativa e teleologica dell’Universo è stata sostituita da una concezione quantitativa e tendenzialmente meccanicista. La formulazione delle equazioni che descrivono il moto dei corpi sono state il risultato della nuova impostazione della ricerca naturale.
Come sostiene il filosofo Stanley Jaki (1924-2009), la scienza «ha la sua ragion d’essere in un rigoroso e consistente ricorso alle misurazioni che implicano nella loro totalità l’uso dei numeri […] Per quanto riguarda la religione, o essa viene chiaramente definita oppure dovrebbe essere abbandonata. […] diviene chiaro che le sue proposizioni o dogmi non hanno nulla a che fare con le misurazioni o con l’uso dei numeri. In ciò risiede l’impossibilità di un conflitto fra una tale religione e la scienza esatta» [2].
La scienza e i suoi limiti
La specificità della scienza, dunque, è nel suo carattere quantitativo e ciò ne rappresenta anche il limite. Si tratta di un confine che spesso non viene riconosciuto dagli intellettuali in genere e anche da alcuni scienziati che vedono nell’indagine naturale una specie di sapere onnicomprensivo, al quale rapportare ogni altro aspetto della conoscenza.
«La storia della scienza nel XX secolo è segnata da indubbie conquiste e da grandi progressi. Purtroppo, l’immagine popolare della scienza del XX secolo è a volte caratterizzata, in modo diverso, da due elementi estremi. Peraltro la scienza è considerata da alcuni come una panacea, dimostrata dai risultati importanti del secolo scorso. In effetti, i suoi innumerevoli progressi sono stati talmente determinanti e rapidi da avvalorare, apparentemente, l’opinione secondo la quale la scienza potrebbe rispondere a tutte le domande circa l’esistenza dell’uomo e anche alle sue più alte aspirazioni» (pp. 241-242).
La riflessione sulla vera essenza dello studio della natura porta Ratzinger, nel discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze del novembre 2006, a precisare che «il metodo scientifico […] ha dei limiti insiti che necessariamente restringono la prevedibilità scientifica a contesti e approcci specifici. La scienza, pertanto, non può pretendere di fornire una rappresentazione completa, deterministica, del nostro futuro e dello sviluppo di ogni fenomeno da essa studiato» (p. 218).
La capacità predittiva di alcuni fenomeni viene a volte esaltata dagli scienziati, al punto di ritenere superflue tutte quelle discipline che non sono riducibili alla mera quantificazione e che, come nel caso della filosofia, precedono la scienza fornendole un preliminare sguardo d’insieme sul mondo: «la sua capacità di controllare la natura attraverso la tecnologia, talvolta è stata collegata a una corrispondente “ritirata” della filosofia, della religione e perfino della fede cristiana» (p. 215). In questo modo la scienza «ha emarginato la ragione che cercava la verità ultima delle cose per fare spazio a una ragione paga di scoprire la verità contingente delle leggi di natura» (p. 229).
Lo stesso tipo di critica è stato avanzato da diversi filosofi dell’era contemporanea che non hanno condannato la scienza in sé, ma la tendenza ad annullare la ricerca dei suoi fondamenti all’interno di un’impostazione generale della conoscenza. Tra questi autori si ricorda Edmund Husserl (1859-1938), che in una sua opera ha affermato «il Positivismo decapita per così dire la filosofia» [3].
La verità della scienza rimanda a un criterio più generale di origine metafisica, capace di discernere le varie branche del sapere e rapportare le stesse a fondamenti ontologici comuni: «L’intellegibilità della creazione, infatti, non è frutto dello sforzo dello scienziato, ma condizione a lui offerta per consentirgli di scoprire la verità in essa presente» (p. 230).
Proprio tale intellegibilità dell’Universo viene presupposta dal lavoro di chi studia la natura e agisce in maniera analogica, fondando la sua azione sull’uniformità dei fenomeni simili. In questo senso, non può mancare nella riflessione di Ratzinger un appello a quel libro della natura che ha ispirato le più grandi menti della Rivoluzione scientifica. Lo stesso concetto di evoluzione non sfugge a questa prospettiva.
«Evolvere significa letteralmente “srotolare un rotolo di pergamena”, cioè leggere un libro. L’immagine della natura come libro ha le sue origini nel cristianesimo ed è rimasta cara a molti scienziati. Galileo vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio così come lo è delle Scritture. È un libro la cui storia, la cui evoluzione, la cui “scrittura” e il cui significato “leggiamo” secondo i diversi approcci delle scienze, presupponendo per tutto il tempo la presenza fondamentale dell’autore che vi si è voluto rivelare. Questa immagine ci aiuta a comprendere che il mondo, lungi dall’essere stato originato dal caos, assomiglia a un libro ordinato. È un cosmo. Nonostante elementi irrazionali, caotici e distruttivi nei lunghi processi di cambiamento del cosmo, la materia in quanto tale è “leggibile”. Possiede una “matematica” innata. La mente umana, quindi, può impegnarsi non solo in una “cosmografia” che studia fenomeni misurabili, ma anche in una “cosmologia” che discerne la logica interna visibile del cosmo. All’inizio potremmo non riuscire a vedere né l’armonia del tutto né delle relazioni fra le parti individuali né il loro rapporto con il tutto. Tuttavia, resta sempre un’ampia gamma di eventi intellegibili, e il processo è razionale poiché rivela un ordine di corrispondenze evidenti e finalità innegabili: nel mondo inorganico fra microstruttura e macrostruttura, nel mondo animale e organico fra struttura e funzione, e nel mondo spirituale fra conoscenza della verità e aspirazione alla libertà. L’indagine filosofica e sperimentale scopre gradualmente questi ordini. Percepisce che operano per mantenersi in essere, difendendosi dagli squilibri e superando ostacoli. Grazie alle scienze naturali abbiamo molto ampliato la nostra comprensione dell’unicità del posto dell’umanità nel cosmo» (p. 234-235).
Ecco perché le discipline filosofico-teologiche, nel loro tentativo di stabilire fondamenti comuni e universali della conoscenza, possono ancora rivendicare una loro posizione privilegiata nella gerarchia del sapere: «La filosofia e la teologia potrebbero dare un importante contributo a questa questione fondamentalmente epistemologica, per esempio aiutando le scienze empiriche a riconoscere la differenza tra l’incapacità matematica di prevedere determinati eventi e la validità del principio di causalità, o tra l’indeterminismo o la contingenza (casualità) scientifici e la causalità a livello filosofico» (p. 218).
Il pensiero positivista
Nel generare la confusione di ruoli tra il sapere scientifico e i suoi fondamenti veritativi, il Positivismo ha avuto un’influenza decisiva, dal momento che ha inteso ridurre tutto il sapere al metodo delle scienze naturali. Nel pronunciare le parole seguenti, probabilmente Ratzinger ha avuto in mente l’aneddoto di Pierre Simon de Laplace (1749-1827) che, interrogato da Napoleone, avrebbe dichiarato la non necessità di includere Dio in un sistema astronomico nel quale l’avvenuta correzione dell’equazione di Newton ha risolto le anomalie del calcolo planetario.
La soluzione di queste anomalie ha condotto Laplace stesso a vedere l’Universo come una macchina determinata da un perfetto rapporto tra causa ed effetto; tale perfetta corrispondenza è ciò che deve permettere allo scienziato di prevedere ogni fenomeno futuro. L’estensione di questa visione dall’ambito prettamente fisico-astronomico a tutti gli altri settori della conoscenza è stata tipica del modello di pensiero positivista [4].
«La conseguenza è stata che l’uomo contemporaneo ha spesso l’impressione di non aver più bisogno di nessuno per comprendere, spiegare e dominare l’universo; si sente il centro di tutto, la misura di tutto […] Sempre di più la formula Etsi Deus non daretur diventa un modo di vivere che trae origine da una specie di superbia della ragione […] la quale si ritiene sufficiente a se stessa e si chiude alla contemplazione e alla ricerca di una Verità che la supera» (p. 223).
Basterebbe leggere alcuni testi dei massimi esponenti della Rivoluzione scientifica per trovare conferma di quanto dichiarato nel prossimo brano e capire, fino in fondo, in che modo la teologia cristiana ha dato un contributo essenziale alla nascita delle scienze esatte.
Occorre essere convinti «del fatto che l’attività scientifica benefici decisamente della consapevolezza della dimensione spirituale dell’uomo e della sua ricerca di risposte definitive, che permettano il riconoscimento di un mondo che esiste indipendentemente da noi, che non comprendiamo del tutto e che possiamo comprendere soltanto nella misura in cui riusciamo ad afferrare la sua logica intrinseca. Gli scienziati non creano il mondo. Essi apprendono delle cose su di esso e tentano di imitarlo, seguendo le leggi e l’intelligibilità che la natura ci manifesta. L’esperienza dello scienziato quale essere umano è quindi quella di percepire una costante, una legge, un lógos che egli non ha creato, ma che ha invece osservato: infatti, esso ci porta ad ammettere l’esistenza di una Ragione onnipotente, che è altro da quella dell’uomo e che sostiene il mondo. Questo è il punto di incontro fra le scienze naturali e la religione» (p. 243).
Il dibattito scienza- fede
Aver sempre presente il senso insito della verità ultima è la corretta dimensione metodologica che deve accompagnare il lavoro dello scienziato, dell’uomo comune e del credente: «In breve, la conoscenza deve essere compresa e perseguita in tutta la sua ampiezza liberatrice. Essa si può certamente ridurre a calcoli e a esperimenti, ma, se aspira a essere sapienza, capace di orientare l’uomo alla luce dei suoi primi inizi e della sua conclusione finale, si deve impegnare nella ricerca della verità ultima che, pur essendo sempre al di là della nostra completa portata, è, nondimeno, la chiave della nostra felicità e della nostra libertà autentiche (cfr Gv 8, 32), la misura della nostra vera umanità e il criterio per un rapporto giusto con il mondo fisico e con i nostri fratelli e le nostre sorelle nella più grande famiglia umana» (p. 239).
Uno degli equivoci più ricorrenti nel dibattito tra fede e scienza consiste nella pretesa di alcuni scienziati di voler annullare i dettami della fede, in particolare il dogma della creazione, a partire da teorie scientifiche.
La Rivelazione ebraico-cristiana annuncia la creazione dal nulla della materia, finalizzata alla Rivelazione stessa. Proprio su questo punto i portavoce della mentalità scientista commettono il loro errore, in quanto oltrepassano l’ambito del sapere scientifico. L’indagine della realtà naturale attraverso lo studio delle sue caratteristiche quantitative non potrà mai cogliere il nulla, né realizzare un qualsivoglia esperimento volto alla sua osservazione.
Le ricerche scientifiche iniziano dalla realtà osservabile per formulare teorie e congetture su ciò che è ancora ignoto. L’impossibilità di congetturare sul “nulla” rappresenta proprio uno dei limiti insuperabili da parte di una scienza che si dimostra pienamente compatibile con il dato rivelato, a patto che non vada al di là del suo dominio legittimo. Solo restando coerenti con le loro rispettive finalità, scienza e fede possono instaurare un dialogo fruttuoso.
«Non vi è opposizione fra la comprensione di fede della creazione e la prova delle scienze empiriche […] un progresso decisivo nella comprensione dell’origine del cosmo è stato la considerazione dell’essere in quanto essere e l’interesse della metafisica per la questione fondamentale dell’origine prima e trascendente dell’essere partecipato. Per svilupparsi ed evolversi il mondo deve prima essere, e quindi essere passato dal nulla all’essere» (pp. 233-234).
Scienza ed etica
In questa antologia si trovano anche dei puntuali riferimenti alla dimensione etica della scienza come un obiettivo imprescindibile. Dalle parole di Ratzinger si evince chiaramente come il riconoscimento della specificità del discorso scientifico e di quello religioso sia un presupposto essenziale per un’etica della ricerca.
Soltanto tenendo conto del fatto che la scienza si occupa di tutto ciò che gravita intorno alla quantificazione dei fenomeni, si può procedere a valutarne la componente etica. Confondere ciò che è bene con ciò che è scientificamente vero, o semplicemente funziona, rappresenta un grande rischio per l’umanità.
«La scienza, tuttavia, pur donando generosamente, dà solo ciò che deve donare. L’uomo non può riporre nella scienza e nella tecnologia una fiducia talmente radicale e incondizionata da credere che il progresso scientifico e tecnologico possa spiegare qualsiasi cosa e rispondere pienamente a tutti i suoi bisogni esistenziali e spirituali. La scienza non può sostituire la filosofia e la rivelazione rispondendo in mondo esaustivo alle domande più radicali dell’uomo: domande sul significato della vita e della morte, sui valori ultimi, e sulla stessa natura del progresso. Per questa ragione, il Concilio Vaticano II, dopo aver riconosciuto i benefici ottenuti dai progressi scientifici, ha sottolineato che “il metodo di investigazione” […] viene innalzato a torto a norma suprema di ricerca della verità totale», aggiungendo che “vi è il pericolo che l’uomo, troppo fidandosi delle odierne scoperte, pensi di bastare a se stesso e più non cerchi cose più alte”. La prevedibilità scientifica solleva anche la questione delle responsabilità etiche dello scienziato. Le sue conclusioni devono essere guidate dal rispetto della verità e dall’onesto riconoscimento sia dell’accuratezza sia degli inevitabili limiti del metodo scientifico» (pp. 216-217).
In definitiva, la scienza di per sé non può essere confusa con l’etica. Dal punto di vista della conoscenza, prima di essere una questione morale, si tratta di un errore epistemologico che può condurre a esiti negativi: «Avviene, tuttavia, che non sempre gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi. Il facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante. È questa una forma di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità. La scienza, d’altronde, non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli come necessari per debellare le sue eventuali patologie. La filosofia e la teologia diventano, in questo contesto, degli aiuti indispensabili con cui occorre confrontarsi per evitare che la scienza proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di imprevisti e non privo di rischi. Ciò non significa affatto limitare la ricerca scientifica o impedire alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste, piuttosto, nel mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perché permanga nel solco del suo servizio all’uomo» (pp. 229-230).
Un approccio positivo
Un approccio positivo alla ricerca scientifica e ai suoi risvolti etici può essere perseguito solo considerando scienza ed etica come momenti di una più ampia ricerca della verità. Un’attenta considerazione della storia del pensiero porta facilmente a vedere nella dottrina cristiana uno sfondo ideale per il raggiungimento di questo scopo. L’idea di un Universo come risultato della Parola Creatrice ha permesso la nascita della scienza e consente di considerare la stessa Parola rivelata come l’unico orizzonte razionale per una finalità davvero positiva dell’indagine naturale.
«La passione per la verità ci spinge a rientrare in noi stessi per cogliere nell’uomo interiore il senso profondo della nostra vita. Una vera filosofia dovrà condurre per mano ogni persona e farle scoprire quanto fondamentale sia per la sua stessa dignità conoscere la verità della Rivelazione. Davanti a questa esigenza di senso che non dà tregua fino a quando non sfocia in Gesù Cristo, la Parola di Dio rivela il suo carattere di risposta definitiva. Una Parola di rivelazione che diventa vita e che chiede di essere accolta come sorgente inesauribile di verità» (p. 231).
Lo stesso concetto è ribadito nelle parole con le quali si chiude questa antologia. Riconoscere nel mondo il senso impresso dal Lógos Creatore, permette di integrare conoscenza scientifica e bene comune nell’unica sintesi efficace per il progresso dell’uomo.
«La conquista scientifica dovrebbe essere sempre informata dagli imperativi di fraternità e di pace, contribuendo a risolvere i grandi problemi dell’umanità, e orientando gli sforzi di ognuno verso l’autentico bene dell’uomo e lo sviluppo integrale dei popoli del mondo. L’esito positivo della scienza del ventunesimo secolo dipenderà sicuramente, in grande misura, dalla capacità dello scienziato di ricercare la verità e di applicare le scoperte in un modo che va di pari passo con la ricerca di ciò che è giusto e buono. Con questi sentimenti, vi invito a fissare il vostro sguardo su Cristo, la Sapienza non creata, e a riconoscere nel suo volto il Lógos del Creatore di tutte le cose» (pp. 243-244).
Alessandro Giostra(Insegnante di Filosofia e Storia, svolge le sue ricerche nel campo della storia del pensiero filosofico e scientifico. Socio della Deputazione di Storia Patria per le Marche, collabora come recensore e saggista per il portale della Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede e per alcune riviste internazionali)Indicazioni bibliografiche e sitografiche[1]
J. Ratzinger, Fede e Scienza: un Dialogo Necessario, Lindau, Torino 2010. Da ora in poi i riferimenti a questo lavoro saranno indicati nel testo col numero di pagina in parentesi.
[2] S.L. Jaki, Il Miraggio del Conflitto tra Scienza e Religione, IF Press, Roma 2014, p. 5. Per quanto riguarda il pensiero di Jaki si rimanda a: A. Giostra, Fede e Origine della Scienza nel Pensiero di Stanley Jaki, Prospettiva Persona, n. 92 Aprile-Luglio 2015, pp. 13-16.
[3] Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1997, p. 39.
[4] http://www.filosofico.net/laplace.htm. Per quanto riguarda l’influenza di Laplace sul pensiero positivista si rimanda a: A. Giostra, La meccanica celeste di Laplace e il determinismo sociale, Astronomia Nova n. 17, marzo-aprile 2013, pp. 4-9