Dopo aver chiarito alcuni equivoci e individuato alcuni problemi relativi alla tecnologia ma che non sono tecnologici, l’autore offre alcune linee prospettiche sviluppate attorno al tema della libertà. Occorre ricuperare il senso del limite e non pretendere dalla tecnologia l’impossibile, tornando a chiederle ciò che essa può darci (che è moltissimo).
Ricuperare il senso del limite
Come ho cercato di mostrare fin qui, la domanda se ci serva più o meno tecnologia non ammette una risposta semplice perché ci sono molti falsi problemi da chiarire e molti problemi autentici da affrontare. Tuttavia, dietro a ciascuno di essi c’è una questione di fondo che deve essere assolutamente risolta se vogliamo riuscire ad avere un approccio equilibrato al problema nel suo insieme: si tratta del ricupero del senso del limite. Con ciò intendo semplicemente il fatto che noi non siamo Dio, non siamo onnipotenti e perciò non possiamo pretendere di risolvere qualsiasi problema. E anche qui la vicenda del virus, se ben capita, avrebbe molto da insegnarci.
Se c’è infatti una cosa indiscutibilmente vera, tra tutte le innumerevoli idiozie che ci è toccato ascoltare al proposito, è che il disastro causato dal virus ci ha mostrato quanto sia fragile la nostra civiltà tecnologica, che si è rivelata essere il classico gigante dai piedi d’argilla. Il fatto che tutto ciò potesse e dovesse essere evitato non invalida, ma anzi paradossalmente rafforza tale conclusione, poiché mostra come perfino una minaccia non particolarmente grave come questa, se gestita male, può rapidamente trasformarsi in un disastro a causa dell’intrinseca vulnerabilità del sistema, con effetti a catena che vanno a colpire ogni singolo aspetto della nostra vita sociale: figuriamoci quindi cosa potrebbe accadere il giorno in cui ci trovassimo a dover affrontare una minaccia davvero grave. In particolare, abbiamo visto come la globalizzazione funziona finché le cose vanno bene, ma quando vanno male diventa un potentissimo amplificatore dei problemi, al punto che perfino i paesi che hanno gestito al meglio la situazione, cavandosela praticamente senza danni, finiranno inevitabilmente per subire pesanti conseguenze negative a livello economico a causa dei disastri avvenuti dall’altra parte del mondo per la stupidità di altri paesi.
Tutto ciò ci ha sconcertati e disorientati, ma questo è accaduto solo a causa di una maniera sbagliata di pensare a cui ci siamo da tempo assuefatti, illudendoci irragionevolmente che la tecnologia ci avesse ormai garantito un dominio pressoché totale sulla natura , cioè credendoci, appunto, onnipotenti. Ora, questa illusione nasce essenzialmente dal fatto che il livello tecnologico che abbiamo raggiunto è ormai sufficiente a far fronte alle piccole catastrofi, che, proprio per il fatto di essere piccole, sono anche le più frequenti, mentre quelle di maggiore entità, di fronte a cui la nostra tecnologia è invece tuttora impotente, sono tanto più rare quanto più sono grandi. E siccome i tempi della natura sono molto più lunghi di quelli umani, anche una catastrofe di medie dimensioni può risultare abbastanza rara da non verificarsi nell’arco di un’intera vita umana e magari anche di più d’una, per non parlare di quelle davvero grandi, che si verificano a intervalli di durata molto maggiore dell’intera storia della civiltà umana. Così, avendo eliminato le piccole catastrofi, ci siamo illusi di averle eliminate tutte: ma, appunto, era solo un’illusione.
Tuttavia, anziché prendere semplicemente atto che ci eravamo sbagliati e accettare l’idea che anche noi dobbiamo convivere con minacce che credevamo ormai definitivamente superate, la reazione di gran lunga prevalente è stata esattamente opposta, col risultato di caricare la tecnologia di attese – o, più esattamente, di pretese – tanto irragionevoli quanto irrealizzabili.
Un atteggiamento sbagliato e pericoloso
Tale reazione ha trovato espressione emblematica nei due celeberrimi mantra del “niente sarà più come prima” e del “rischio zero”, che sono solo un altro modo di avanzare una pretesa di onnipotenza mascherata da senso di responsabilità: anche se vecchia come il cucco, infatti, la “moralità”, specialmente quella pubblica, continua ad essere la maschera più efficace per rendere socialmente accettabili e anzi addirittura lodevoli i nostri atteggiamenti più assurdi.
Il problema è che questo atteggiamento non è soltanto assurdo, ma anche estremamente pericoloso, perché può generare (e in parte, purtroppo, sta già generando) tutta una serie di risposte sbagliate che finiranno soltanto con l’aggravare ulteriormente la situazione. Qui ne discuterò soltanto due, che riflettono tendenze profonde presenti da lungo tempo nella nostra società e che possono avere conseguenze ben più vaste della specifica circostanza del virus.
Vai al PDF per l’INTERO articolo
Paolo Musso
(Professore Associato di Filosofia Teoretica presso l’Università dell’Insubria di Varese – Corso di laurea in Scienze della Comunicazione)