Il premio Nobel per la Fisiologia o Medicina per il 2022 è stato assegnato dal

Karolinska Institutet allo scienziato svedese Svante Pääbo. Un riconoscimento per le ricerche condotte da Pääbo fin dall’inizio della sua carriera per scoprire se, a livello molecolare, è documentabile l’evoluzione biologica della specie umana.
Un percorso sperimentale che è stato accompagnato e favorito dalla evoluzione della tecnologia per l’indagine sui genomi (per esempio la PCR), ma ha tenuto conto anche di nuove scoperte paleontologiche (a Denisova). Pääbo è considerato il fondatore di una nuova disciplina, la paleogenomica, grazie alla quale sono state definite con più certezza le linee filetiche che accompagnano l’evoluzione delle popolazioni umane. 



 

Il premio Nobel per la Fisiologia o Medicina per il 2022 è stato attribuito allo scienziato svedese Svante Pääbo (1955-…) con la motivazione: «per le sue scoperte circa i genomi di ominidi estinti e circa l’evoluzione umana». Con il termine «ominidi» si intende un raggruppamento di specie che include l’uomo moderno (Homo sapiens), ma anche altre specie appartenenti al genere Homo e oggi estinte: tra queste si annoverano l’uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis) e l’uomo di Denisova (che non ha ancora ricevuto una classificazione scientifica), che si stima si siano estinti attorno a 40.000 anni fa. È appunto di queste due specie e del loro confronto con l’uomo moderno che si è occupato Pääbo nei suoi studi. Il termine «genoma» a cui fa riferimento la motivazione sta a indicare la dotazione completa di DNA di un organismo, vale a dire la componente molecolare che codifica, in base al ben noto alfabeto a quattro lettere (adenina, citosina, timina, guanina), le istruzioni per la costruzione dell’intero organismo.



Svante Pääbo nacque a Stoccolma nel 1955 e iniziò la sua carriera scientifica all’Università di Uppsala dove nel 1986 conseguì il Dottorato di Ricerca. Già in questi primi anni, trascorsi alla stessa Università, il suo interesse si focalizzò su DNA antichi, interessandosi specificamente del genoma di mummie egizie dell’età di circa 2400 anni. Fin da queste fasi iniziali della sua carriera emerse con evidenza la domanda che animava la sua attività sperimentale: in termini puramente investigativi egli intendeva chiarire se e in che misura fosse documentabile a livello molecolare l’evoluzione biologica della nostra specie e di conseguenza in che relazione si ponesse l’uomo moderno con i suoi predecessori.



Sempre animato dall’interesse verso i DNA antichi delle specie umane, nel 1987 Pääbo proseguì i suoi studi all’Università di Berkeley in California, dove continuò a sequenziare DNA da reperti antichi e ad analizzare le sequenze ottenute.

È opportuno anticipare che, fin dagli inizi, gli studi di Pääbo misero in evidenza che la loro possibilità di successo era condizionata più di ogni altra cosa da aspetti tecnici e metodologici. In particolare, le prime analisi del DNA antico rivelarono una loro sostanziale contaminazione proveniente da microorganismi, come pure dagli uomini moderni (probabilmente anche gli stessi che avevano manipolato i reperti). Era quindi indispensabile sviluppare protocolli sperimentali che dessero la garanzia di avere realmente isolato e stare analizzando il DNA antico. Inoltre risultò evidente che, nell’arco temporale di migliaia di anni, il DNA va incontro a frammentazione spontanea e a modificazioni chimiche, come per esempio la conversione di citosina in uracile. Queste alterazioni, come si può immaginare, sono tanto più estese quanto più antichi sono i reperti medesimi.

Oltre a ciò, era di importanza critica la possibilità di disporre di tecnologie che rendessero possibile il sequenziamento di lunghi tratti di DNA e ultimamente di un intero genoma umano. Anticipiamo, a questo riguardo, che il successo scientifico delle investigazioni di Pääbo fu favorito, o meglio, reso possibile da tecnologie di impatto sostanziale, non esistenti all’avvio delle sue investigazioni, ma che vennero realizzate successivamente e delle quali egli tempestivamente si servì non appena disponibili.

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Paolo Tortora
(già Ordinario di Biochimica presso il Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano Bicocca)

 

© Pubblicato sul n° 83 di Emmeciquadro