Nel febbraio del 1943, in piena guerra, il fisico austriaco Erwin Schrödinger (1887-1961), premio Nobel del 1933, tenne tre conferenze al Trinity College di Dublino che furono riprese l’anno successivo nel libro Wath is life? che, in sole cento pagine, racchiudeva le idee più emblematiche sulla biologia del ventesimo secolo. Nel suo libro Schrödinger spiegava la «speciale dipendenza della vita e dei suoi processi da minuscoli insiemi di atomi all’interno del gene, la stabilità del gene nel tempo e il fatto che gli organismi viventi sembrano esonerati da una delle leggi fondamentali della natura» e apriva così la strada all’indagine chimico-fisica sui viventi.



Nel 2008 Ed Regis, uno fra i più noti divulgatori scientifici negli Stati Uniti, pubblica un testo usando lo stesso titolo di quello di Schrödinger – prontamente pubblicato da Zanichelli in Italia e ancora oggi rieditato dalla casa editrice nella collana Chiavi di lettura – in cui fa il punto della situazione proprio a partire da quel lontano 1944 alla luce delle più recenti conquiste della biologia. In particolare rivela come, a partire dal 2002, presso i laboratori della società ProtoLife, nel parco scientifico-tecnologico di Porto Marghera, il fisico statunitense Norman Packard (1954-…) e Martin Hanczyc, docente dell’università di Trento e allora direttore della chimica della società, progettarono di creare «vescicole che potevano diventare cellule vive e autonome». La missione era quella di «assemblare da zero con l’approccio bottom up, a partire da sostanze inorganiche e organiche, le componenti di sistemi viventi minimali, fino alle protocellule».



Bisogna però arrivare al 2010 quando J. Craig Venter (1946-…) pubblica un articolo sul New York Times in cui spiega di aver sintetizzato un intero genoma batterico e sostiene di aver creato una «cellula sintetica». Al di là della veridicità di una simile affermazione che Regis nel suo libro non conferma, torna invece utile ripercorrere la strada seguita da quel lontano 1944, attraverso alcune delle tappe più significative. In un famoso esperimento condotto nello stesso anno 1944, Oswald Avery (1877-1955), Colin MacLeod (1909-1972) e Maclyn McCarty (1911-2005), dimostrarono che l’informazione genetica era in effetti contenuta nell’acido nucleico: «[…] i geni, in altre parole, sono fatti di DNA». Bisogna però aspettare il 1953 perché James Watson (1928-…) e Francis Crick (1916-2004) pubblichino sulla rivista Nature lo storico articolo in cui scrivono: «desideriamo suggerire una struttura per il sale dell’acido desossiribonucleico (DNA)». Solo alla fine degli anni Cinquanta il biochimico statunitense Marshall Nirenberg (1927-2010), che prenderà il Nobel nel 1968 per la decifrazione del codice genetico, studiò i processi con cui il DNA dirige la costruzione delle proteine ipotizzando che «inserendo nel citoplasma di una cellula un particolare tipo di RNA si sarebbe stimolata la produzione di uno specifico aminoacido».



E oggi, a cinquant’anni dalla pubblicazione del libro di Schrödinger, a che punto siamo si chiede Regis. Sembra che oggi la domanda posta dal fisico austriaco sia più appannaggio della filosofia che della scienza e infatti un paleontologo come Stephen Jay Gould (1941-2002) ritiene che una risposta adeguata alla domanda su cosa è la vita «dovrebbe comprendere tutte le caratteristiche dei viventi e non soltanto alcuni sottili filamenti e i nuclei della loro cellule». Bisogna inoltre ricordare che nel 1995 appare un nuovo libro intitolato What is life? firmato dalla biologa Lynn Margulis e dal figlio Dorion Sagan in cui risulta evidente che il DNA «nonostante il suo successo per spiegare l’ereditarietà, la costruzione delle proteine e di conseguenza lo sviluppo e la crescita degli organismi, da sé solo, non è in grado di chiarire cos’è la vita». Nel 2014 Freeman Dyson (1923-2020), nel libro Origine della vita, sostiene che «l’innegabile capacità del DNA di spiegare la replicazione aveva messo in ombra l’intero concetto di metabolismo». Forse è proprio il metabolismo che costituisce il «centro fondamentale della natura della vita».

Questo ultimo intervento consente a Regis di costruire un intero capitolo del suo libro (L’ATP e il senso della vita) ripercorrendo le tappe della sua conoscenza a partire dal Cinquecento con il fisiologo Santorio (1561-1636) sino alla tesi di Hans Krebs (1900-1981) che, nel 1953, in occasione del premio Nobel, scrive che «[…] circa due terzi dell’energia ricavata dal cibo negli organismi superiori si libera nel corso di questo percorso comune, mentre un terzo circa ha origine dalle reazioni che preparano i nutrienti all’ingresso nel ciclo dell’acido citrico».

La conclusione sembra definitiva, ma non spiega come sia nata la vita sulla Terra che resta il problema più discusso della biologia teorica. Regis a questo proposito ci offre una carrellata di idee e personaggi a partire dal Settecento quando si dimostra l’infondatezza della generazione spontanea. Con August Weismann (1834-1914) e successivamente con Charles Darwin (1809-1882) si ipotizza che la vita si sia originata «in qualche piccolo stagno in presenza di ammoniaca e sali fosforici d’ogni sorta e di luci, calore, elettricità […]». Negli anni Cinquanta del Novecento il biochimico Stanley Miller (1930-2007), con il suo famoso esperimento, a partire da sostanze inorganiche semplici e grazie a potenti scariche elettriche riesce a produrre almeno quattro aminoacidi. Un altro biochimico e studioso dei sistemi complessi, Stuart Kauffman (1939 -…) ha in seguito suggerito che l’originale brodo prebiotico «conteneva forse una rete autocatalitica, ossia una collezione di molecole chimiche e catalizzatori in cui alcune molecole catalizzavano la formazione di altre fino a quando, raggiunto un certo punto critico, l’intero insieme catalizzava se stesso».

Nel 2006 qualcosa è cambiato nello studio delle protocellule. Infatti a ottobre di quell’anno è stato pubblicato un articolo dal titolo Il gioco d’imitazione: un approccio chimico e computazionale per il riconoscimento della vita in cui si chiariscono le ragioni per cui sarà la regolazione genetica del metabolismo «il momento in cui per la prima volta i processi metabolici di una cellula artificiale passeranno sotto il controllo di una qualche molecola contenente l’informazione». In pratica significa che, neppure in linea di principio, si può usare una definizione per identificare la vita.

Si deve allora concludere, direi tristemente, che, come dice Mark Bedau (1950-…), un altro filosofo americano che lavora nel campo della vita artificiale, «stiamo giocando a fare Dio». Gli scienziati da sempre manipolano la natura per migliorarla. Non sappiamo se in futuro riusciranno a «ricreare» la vita, di certo sappiamo che, nonostante i loro sforzi e i loro successi, non sanno ancora dire che cos’è la vita.

In effetti a oggi la «riproduzione della vita» in laboratorio non è riuscita, nonostante i grossi finanziamenti che hanno avuto i diversi centri di ricerca. La vicenda ProtoLife è li a dimostralo e a rendere evidente che non è ancora chiaro quali tecniche siano più congeniali per ottenere i risultati cercati. Come del resto la risposta alla domanda «che cos’è la vita» risulta ancora irrisolta nonostante tutti i tentativi avvenuti dal libro del 1943. Ritengo, infine, che questo libro, nel cercare di dare una risposta al quesito, risulti piuttosto dispersivo e non riesca a fare una sintesi efficace. Per questo motivo non credo sia di grande utilità agli studenti, mentre ritengo che, per gli insegnanti, possa essere uno strumento utile per aprire un discorso critico sui temi della biologia che di tanto in tanto riemergono nel panorama della dialettica sui massimi sistemi.

Ed Regis

Cosa è la vita?

Una nuova indagine nell’era della biologia artificiale

Zanichelli, Bologna 2010

Pagine 224           euro 13,10

Recensione di Gianluca Visconti

 

© Pubblicato sul n° 82 di Emmeciquadro

 

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