Il testo di Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia (Oxford, University Press 2017) esamina con sguardo attento e critico una delle caratteristiche della nostra società attuale, in particolare in occidente: quella sorta di elogio dell’ignoranza, che si esprime con affermazioni come «mi sono laureato all’università della strada» e che diffida sempre più della competenza e del parere degli esperti, in nome di una malintesa democrazia.



L’analisi di Nichols (docente all’U.S. Naval War College e alla Harvard Extension School) si riferisce in particolare alla situazione socio-culturale degli Stati Uniti, ma porta a riflessioni che riguardano anche l’Europa e l’Italia; da un lato il suo lavoro ci riguarda da vicino perché alcune tematiche sono già presenti anche qui, dall’altro perché gli USA molto spesso anticipano fenomeni che poi si diffondono anche in Europa.



In un volume «sferzante, pieno di humor e solidamente argomentato» (Financial Times) Nichols svolge una lucida riflessione sulla sempre maggiore incomunicabilità fra gli «esperti» e i «profani». Pur non nascondendo le responsabilità dei primi, evidenzia come al fondo il nocciolo del problema stia nel considerare chi ne sa più di te un pericolo per la tua libertà di giudizio, in nome appunto di una malintesa democrazia; la questione si complica nel momento in cui a ciò si aggiunge il cosiddetto effetto Dunning-Kruger, che consiste nel non essere coscienti della propria ignoranza e nel sopravvalutare sistematicamente le proprie competenze: l’interazione dei due fenomeni fra loro e con la enorme quantità di informazioni facilmente reperibili sul web fa sì che sia ormai diffusissima l’illusione di avere sempre sufficienti informazioni per giudicare qualsiasi problema, come e anche meglio degli esperti.



Nichols affronta il problema in modo articolato, analizzando, capitolo per capitolo, i vari aspetti che esso assume nei vari ambiti.
Così il primo capitolo – Esperti e cittadini – evidenzia come sia parte fondante del modo di pensare americano un forte desiderio di autonomia nei confronti degli esperti, ma sottolinea come negli ultimi anni questo si sia trasformato in aperta ostilità e come questa ostilità non sia relegata alle fasce sociali meno istruite, ma al contrario cresca spesso con il crescere del livello culturale.

Nel secondo capitolo – Perché la conversazione è diventata così estenuante – si dà spazio all’effetto Dunning-Kruger, collegandolo con il Bias di conferma, e cioè con la tendenza a considerare attendibili le fonti di informazione e i dati che confermano ciò che già pensiamo. Citando Dunning, l’autore scrive: «Ciascuno di noi possiede alcune convinzioni fondamentali: narrazioni di sé, idee sociali, eccetera. Essenzialmente sono idee che non possono essere trasgredite»; proprio ciò rende difficile e a volte estenuante la conversazione. Se seguiamo un qualsiasi talk show televisivo, ce ne rendiamo conto immediatamente, anche quando a parlare sono veri esperti.
Nel terzo capitolo – Istruzione superiore. Il cliente ha sempre ragione – si affronta un tema particolarmente interessante per chi insegna, quello del lavoro educativo. Nichols sostiene, con dovizia di prove peraltro, che negli USA lo studente, universitario in particolare, viene visto come un vero e proprio cliente, da soddisfare in tutti i modi, in un’ottica solidamente marketing oriented.

Anzitutto si tende a dedicare più attenzione ai servizi offerti allo studente (alloggi, impianti sportivi, ritrovi) che a quelli propriamente educativi (biblioteche, qualità dei docenti, qualità dell’istruzione); la conseguenza inevitabile è un calo progressivo della qualità del lavoro formativo, fino ad arrivare a un appiattimento verso l’alto delle votazioni agli esami universitari, persino negli atenei più prestigiosi: per citare l’autore, «oggi tutti i ragazzi sono sopra la media». Il risultato è facilmente intuibile: anche chi, per formazione, dovrebbe essere «esperto», spesso non lo è per nulla.

Nel quarto capitolo – Ora lo cerco su Google. Come l’informazione illimitata ci rende più stupidi -, L’autore affronta il tema, attualissimo anche in casa nostra, della pretesa di trovare soluzione a ogni problema semplicemente cercandola sui motori di ricerca, con l’illusione che tante informazioni diano di per sé una conoscenza sufficiente.

Al riguardo, con il suo solito humor ma con un richiamo più che corretto, l’autore cita la legge di Sturgeon (famoso scrittore di fantascienza), scritta ben prima del web ma perfetta per l’informazione in rete: «il 90% di ogni cosa è spazzatura».

Il quinto capitolo – Il nuovo New Journalism, a vagonate – sposta l’attenzione sui canali d’informazione tradizionale, giornali, radio, televisioni. Anche qui il primo problema è la quantità di informazioni rovesciate addosso all’utente: in ogni casa americana, per esempio, entravano nel 2014 ben 189 canali televisivi (60 in più rispetto al 2008), a cui vanno aggiunte le TV via cavo e le radio AM, molto diffuse in un Paese in cui si sta molto in auto ogni giorno. Anche qui però il problema resta la qualità dell’informazione: il mercato «si è incentrato sulla forma più che sui contenuti» – il che significa che conta più lo spettacolo che quello che viene detto.
Il sesto capitolo – Quando gli esperti si sbagliano – va invece a colpire un tema-chiave per la credibilità degli esperti: i loro errori. Al netto degli errori inevitabili e paradossalmente utili (la scienza procede appunto per falsificazioni successive) ci sono anche quelli evitabilissimi, in cui si incorre per superficialità o, peggio, in modo fraudolento, falsificando i dati.

Tralasciando l’ultimo caso, la soluzione per restare credibili è che gli esperti ammettano gli errori, semplicemente; può non essere decisivo, ma resta indispensabile come primo passo. Soprattutto è però necessario che gli esperti non si lascino trascinare a fare quello che mai dovrebbero fare: dare previsioni. È proprio quello che il grande pubblico chiede, ma è il terreno su cui l’esperto non ha in realtà molti strumenti in più rispetto a chi lo ascolta.

Nella conclusione – Esperti e democrazia – Nichols affronta il tema che fa da sottotitolo al suo testo. Parte da un’affermazione di Michael Gove, uno dei leader britannici del movimento pro Brexit, che ha dichiarato che i fatti non erano altrettanto importanti dei sentimenti dell’elettorato britannico. Gove è laureato a Oxford ed è stato per anni Ministro nei governi conservatori, quindi è un esperto, ma ha detto: «Penso che i cittadini di questo Paese ne abbiano abbastanza degli esperti».

Si innesca con questa logica un meccanismo esiziale per la democrazia: la reazione «di pancia» (auspicata tempo fa anche da un noto politico nostrano) non porta a una gestione razionale dei propri diritti civili, ma a diventare utili strumenti del demagogo di turno. Nichols ricorda non a caso la famosa frase di Trump «adoro la gente poco istruita». Inoltre è fondamentale per i politici avere degli esperti competenti e affidabili e utilizzarli al meglio, perché in democrazia la distinzione fra chi sa e chi decide è e deve essere la normalità, per evitare sia la tecnocrazia sia l’incompetenza al potere.

 

Tom Nichols

La conoscenza e i suoi nemici

LUISS University Press – Roma 2018

Pagine 248 – Euro 20,00

 

Recensione di Maurizio Redaelli

 

© Pubblicato sul n° 83 di Emmeciquadro

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