Ugo  Amaldi, nell’introduzione a questo testo cita un brano di del fisico Weisskopf, che divide i fisici in tre categorie, quelli che costruiscono strumenti, i fisici sperimentali, i fisici teorici. La prima categoria è essenziale (senza il cannocchiale come Galileo come avrebbe scoperto i satelliti di Giove?), ma è la meno riconosciuta dai premi Nobel. Ebbene Rossi appartiene  questa categoria, anche lui non ha preso il Nobel di persona, che è andato invece al Cern nel suo complesso per la scoperta del bosone di Higgs.



Ma l’apparecchiatura estremamente raffinata che ha consentito la scoperta, ha come elemento essenziale i magneti superconduttori, progettati proprio da Rossi.

Nel suo testo, quasi una autobiografia, nella prima parte descrive il percorso compiuto fino alla strutturazione definitiva dei magneti superconduttori, un percorso pieno di imprevisti (una avventura, come dice il titolo).



Questo percorso inizia con un elemento personale, la curiosità. Questa curiosità lo conduce a una strada: lo studio e lo sviluppo delle macchine,che  dice l’autore: “non sono entità fredde ma, come insegna Galileo, costituiscono una parte fondamentale del percorso conoscitivo”

Dopo una tesi di fisica nucleare, viene assunto all’INFN, per partecipare a un progetto di un acceleratore super conduttore: è l’inizio di una “avventura di conoscenza”, che porterà poi ai magneti superconduttori del progetto ATLAS, che ha ha avuto come esito la scoperta del bosone di Higgs.

Il  problema degli acceleratori è la necessità di correnti estremamente elevate, che in condizioni ordinarie emetterebbero un’energia enorme e incontrollabile per effetto joule. A questa esigenza di correnti elevate risponde il fenomeno della superconduttività, che implica l’annullarsi della resistenza a temperature vicine allo zero assoluto.



Il lavoro di Rossi inizialmente fu quindi la collaborazione con il prof.  Resmini, uno dei responsabili dell’INFN, per la costruzione di un ciclotrone superconduttore. Fu importante la funzione del LASA (Laboratorio Acceleratori e Superconduttività Applicata),  a cui il fisico Zichichi, allora presidente dell’INFN chiese la costruzione di un magnete superconduttore, che fu poi realizzato con il nome di Zeus.

La situazione si modificò nel 1987, quando ci fu la richiesta del CERN di collaborare a un progetto che richiedeva degli enormi magneti superconduttori, per il circuito allora in progetto, 27 chilometri di circonferenza.  Cominciò allora una collaborazione esterna  di Rossi con i Cern. Dopo varie vicende e cambi nella direzione dell’INFN, si rafforzò una collaborazione fra il Lasa e il Cern: inizia l’avventura del progetto ATLAS.

Nel 2000 avvenne la svolta decisiva: telefonata dal gallese Lyn Evans, capo progetto di LHC, con la proposta di andare al CERN a dirigere tutto il gruppo magneti, nell’ambito della progettazione dell’LHC(Large Hadron Collider). Rossi prese quindi servizio al CERN il primo maggio 2001, a capo del gruppo magneti, i quali costituivano il 40% della macchina.

Il lavoro proseguì fino al 2008, dove un grave incidente bloccò il funzionamento dell’acceleratore LHC; occorse un accurato lavoro di revisione dell’apparato e dei sistemi di sicurezza, che portò a una definitiva partenza della macchina. Così nel 2012, l’allora portavoce del CERN (oggi presidente) Fabiola Giannotti annunciò ufficialmente la scoperta del bosone di Higgs. Questa scoperta era attesa dal 1964, da quando Peter Higgs, Francois Englert e Robert Brout l’avevano prevista e codificata. I primi due si aggiudicheranno il premio Nobel nel 2013, onore che purtroppo Brout non si vedrà attribuire, essendo deceduto nel 2011. L’importanza del bosone di Higgs è che particella ha un proprio modo d’interagire con il campo di Higgs, ed è questa particolarità a conferire alla particella la sua massa.

Ma l’avventura di Rossi non è finita: dopo l’LHC occorre pensare a una macchina ancora più potente chiamata High Luminosity LHC, diminutivo HiLumi, inizialmente solo un’idea nella sua mente. Il progetto venne approvato e Rossi, mentre nell’LHC era intervenuto “a metà dell’opera”in HiLumi è partito dall’inizio, ha tratteggiato personalmente l’intero progetto: i primi prototipi, il gruppo di lavoro, insomma tutte le fasi a cui non aveva contribuito in LHC.

Questa è la conclusione del suo lavoro al Cern: ad altri toccherà il completamento del progetto, mentre Rossi torna all’Università di Milano.

Se qui è in un certo senso finita “l’avventura”, come effetto collaterale avviene una riflessione, che trova spazio nella seconda parte del testo: sul rapporto tecnologia e scienza pura, che porta anche a considerazioni sul rapporto fede scienza. In primo luogo l’autore osserva che la scienza si è sviluppata nella civiltà occidentale, con le sue radici cristiane, più che nel modo asiatico, tendenzialmente politeista.

Se c’è un unico dio creatore, separato dalla creazione, che opera in base a leggi razionali, queste ultime possono essere comprese. La ragione, la ratio, è il ponte gettato tra il soggetto e la realtà, insieme ai sensi (che ne sono come i pilastri) e alla loro estensione (lo strumento!).

Come pure non c’è una opposizione fra fede e scienza: “lo scienziato e il religioso si sono trovati d’accordo, hanno qualcosa in comune: entrambi cercano la verità, sebbene con metodi differenti. La verità esiste; l’importante per la scienza e la fede è cercarla.”

 

Lucio Rossi

La conoscenza è un’avventura

Edizioni Bietti, Milano 2022

Pagine 110 euro 13,00

Recensione di Lorenzo Mazzoni

 

© Pubblicato sul n° 83 di Emmeciquadro