L’origine del titolo del libro è racchiusa nel decimo capitolo (pp. 293-307). L’autore propone la definizione della coscienza come istinto, basandosi sulle molteplici prove del fatto che la coscienza non è localizzabile in un punto preciso del cervello, ma rappresenta piuttosto un aspetto continuo delle sue diverse capacità.



Il sottotitolo, Il legame misterioso tra il cervello e la mente, identifica il tentativo del libro di offrire una panoramica su quanto scoperto finora e la necessità di percorrere nuove strade alla luce delle acquisizioni più recenti.

La prima parte del libro contiene una rassegna attraverso i secoli del pensiero filosofico e scientifico relativo alla coscienza. La prima svolta si ebbe con Descartes che osservando gli automi nei giardini reali di Versailles pensò che, in specifiche circostanze, essi possono dare l’illusione della vita e ne dedusse che la vita stessa funzionava sul modello degli automi.



Nasceva così la metafora della macchina. Ma la macchina è governata da qualcosa che sfugge ai principi meccanicistici della fisica e non risponde ad alcuna legge naturale: un qualcosa fatto di nulla ma capace di coscienza, libero arbitrio, pensiero astratto, dubbio e moralità. È questo il dualismo cartesiano, da un lato un corpo materiale pensato come un macchinario e dall’altro un dispositivo cognitivo immateriale.

D’altra parte attraverso i progressi degli studi nell’anatomia del cervello si riproponeva la domanda: come si spiega che il pensiero umano sia tanto più vario e sofisticato di quello animale se l’organizzazione del cervello risulta pressoché identica?



Dal momento che quelle differenze non si potevano spiegare in termini di materia cerebrale tangibile, occorreva concludere che gli esseri umani derivano le loro speciali capacità da un principio di ordine diverso: la presenza di un’anima razionale. Non potendo localizzare l’anima razionale nel corpo, si finiva per concludere che l’anima era immateriale ma localizzata nel cervello come aveva ipotizzato Descartes. Nonostante reiterati tentativi il dualismo mente-cervello non si è mai superato veramente.

Nella seconda parte vengono presentate le ipotesi più recenti sulla struttura del cervello come una federazione di moduli dotati di ampie autonomie locali che cooperano in forme concertate nell’ambito di una architettura a strati.

Questa è la tesi dell’autore: «Occorre cambiare rotta. Bisogna smettere di pensare che esista un ingrediente particolare, una struttura o un’area di tipo speciale, per cominciare a ragionare in termini di un aggregato di moduli dotati di ampia indipendenza locale per cercare di capire come la loro organizzazione si traduca nel senso di un’esperienza cosciente che ci accompagna di continuo».

Quando perdiamo l’uso di una certa funzione, perdiamo anche la coscienza che la accompagnava, ma non per questo la coscienza come tale si estingue. Uno dei primi indizi del fatto che la coscienza non è vincolata ad alcuna rete neurale specifica deriva dagli studi sui pazienti split-brain, cioè sottoposti alla resezione del corpo calloso.

Le connessioni cerebrali all’interno di un emisfero cerebrale sono molto più numerose di quelle che vanno da una parte del cervello all’altra, anche se il volume di connessioni tra i due è comunque impressionante. Eppure la resezione di quegli allacciamenti non ha pressoché alcun impatto sul sentimento dell’esperienza cosciente nel soggetto. In altri termini, l’emisfero sinistro continua a parlare e pensare come se nulla fosse accaduto, anche se non ha più alcun accesso a metà della corteccia cerebrale umana.

Ancora più interessante, però, è il fatto che disconnettere i due emisferi crea immediatamente un secondo sistema cosciente sganciato dal primo. Dopo la callosotomia la parte destra del cervello continua a funzionare imperterrita, senza interferenze da parte dell’emisfero sinistro con le sue capacità, desideri, obiettivi, intuizioni e sentimenti. Dividendo una rete in due parti si ottengono due sistemi coscienti. Come si può continuare a credere che la coscienza sia espressione di una specifica rete neurale?

Nella terza parte l’autore prova a fare i conti con la più spinosa delle questioni: come si passa dai neuroni alla mente? Vengono proposte delle ipotesi per il superamento dello scarto tra vita e materia inanimata e tra mente e cervello basate sui paradigmi della fisica moderna.

Da ultimo, da riduzionista convinto di fronte allo scarto tra struttura fisica del cervello e mente, l’autore usa la definizione di istinto come prodotto di una circolarità cieca tra la selezione naturale e l’esperienza.

All’obiezione che se la coscienza fosse un istinto gli esseri umani sarebbero come automi, senza discernimento, l’autore risponde che accettare l’idea che un entità complessa come il sistema corpo-cervello-mente sia dotata di un meccanismo conoscibile non equivale a condannare l’essere umano a una prospettiva deterministica e avvilente.

Michael S. Gazzaniga
La coscienza è un istinto
Il legame misterioso tra il cervello e la mente
Raffaello Cortina Editore, Milano 2019
Pagine 307, euro 23,80

(Recensione di Renzo Gorla)