Il sottotitolo di questo libro, Viaggio al termine della nostra specie, sintetizza bene l’obiettivo che l’autore, Gianfranco Pacchioni, si pone volendo comunicare le sue «modeste riflessioni sul mondo che ci attende».
Egli mostra che nell’ultimo secolo l’evoluzione sempre più rapida delle tecnologie di cui l’homo sapiens dispone sta cambiando il suo rapporto con la Natura; allora si chiede se questa vertiginosa evoluzione porterà alla fine dei sapiens. Sulla base della possibilità che i dieci miliardi di abitanti che popoleranno la Terra fra cinquant’anni possano essere molto diversi da noi nei costumi, nei comportamenti, nel modo di pensare rischiamo veramente di essere gli ultimi della nostra specie, gli ultimi sapiens?
Per affrontare questa domanda il testo, interessante e ricco di spunti, percorre un cammino serrato. Inizia con una breve storia degli ultimi 10 000 anni, che mostra con ricchezza di particolari come lo sviluppo tecnologico abbia proceduto e proceda con velocità sempre crescente, e come oggi abbia un ritmo non paragonabile a quello dei decenni passati o anche solo degli anni scorsi. Questa affermazione è documentata con dovizia di particolari, analizzando sei aree particolarmente sensibili.
Pacchioni colloca ognuno dei temi trattati nei diversi capitoli nel contesto storico in cui la tecnologia relativa è nata, ne descrive sinteticamente il percorso, fino ad arrivare allo sviluppo tecnologico o al cambio di paradigma che aprono a nuovi sviluppi, a volte solo tratteggiati; i capitoli si concludono con uno sguardo prospettico alle possibilità future. Ogni argomento è preceduto, e a volte accompagnato, da brevi brani tratti da racconti di Primo Levi, autore molto presente nei lavori divulgativi di Pacchioni; stupisce sia la capacità con cui Levi ha previsto cose che ai suoi tempi erano ai limiti della fantascienza, sia la sensibilità con cui, a volte attraverso l’ironia, aiuta a cogliere, oltre alle potenzialità, anche gli aspetti problematici e i rischi delle nuove tecnologie.
Il primo capitolo è dedicato all’intelligenza artificiale a partire da quella cosiddetta debole, pensata per svolgere un compito definito e limitato, quale la guida di un veicolo, per arrivare poi a quella cosiddetta generale o forte, che potrebbe superare noi sapiens praticamente in tutte le attività cognitive.
Ecco poi le stampanti 3D, nate poco più di trent’anni fa e da pochi anni anche utilizzate in alcune aziende per la produzione; hanno aperto la strada alle biostampanti 3D, che, tra l’altro, permettono di ricostruire tessuti o creare organi artificiali completamente biologici, aprendo alla possibilità di riparare e rigenerare parti di organismi viventi.
Il capitolo successivo, dedicato alla genetica umana, tratta uno degli argomenti più sensibili e problematici del testo, come ben evidenziato dal suo titolo Vita sintetica. Infatti, come scrive l’autore «la biologia sintetica […] è destinata a produrre alcuni dei cambiamenti più profondi che incombono sul genere umano» (p. 91) con anche «la difficoltà di tracciare confini chiari su ricerca in campo genetico, interessi industriali e regole etiche» (p.101).
Si passa quindi al mondo delle nanotecnologie nato alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso con l’invenzione del transistor a semiconduttore, anche se il dispositivo di allora non aveva certo dimensioni nano. Le proprietà del silicio e del suo ossido hanno favorito l’integrazione di dispositivi mediante processi top-down, che cioè partono dall’alto e sezionano la materia verso il basso in parti sempre più piccole. Queste tecnologie stanno rapidamente raggiungendo i loro limiti fisici, con la necessità di un cambio di protocollo: il passaggio a processi bottom-up, dal basso all’alto, che assemblano atomi e molecole; è la nascita delle cosiddette nanotecnologie 2.0. Questo approccio non si è ancora imposto, ma è la via attraverso cui si otterranno risultati innovativi e cambiamenti profondi: «La realtà è che il mondo delle nanotecnologie e delle biotecnologie stanno convergendo verso gli stessi obiettivi» (p. 132).
I due capitoli successivi, dedicati alle neuroimmagini e all’interazione cervello-macchina, aprono a scenari nuovi e inquietanti. Scrive infatti Pacchioni: «Sotto il nome di neuroimaging si nascondono strumenti per decodificare e interpretare l’esperienza cosciente di una persona» (p. 150): in altri termini, «comprendere come funziona il cervello prelude al passo successivo, ossia come influenzare o modificare i pensieri.» (p. 155). Inoltre, la comprensione del funzionamento del cervello ha reso possibile mettere in connessione diretta un cervello umano con una macchina, cioè «trasmettere impulsi elettrici stimolando risposte sensate in entrambi i versi, sia in uscita che in entrata» (p. 175), aprendo anche la strada al cosiddetto brain-to-brain, cioè alla connessione diretta tra cervello e cervello.
A partire da questi fatti e da queste prospettive, Pacchioni tratteggia il futuro verso cui noi sapiens del XXI secolo ci avviamo e conclude con una domanda: «Saremo in grado di fermarci a tempo nella nostra corsa col turbocompressore verso le Colonne d’Ercole? Homo faber fortunae suae, dicevano i latini, l’uomo è artefice della propria sorte. Non ci resta che scoprire quale.» (p. 202).
Il testo, ricchissimo di dati e di informazioni, sollecita a prendere coscienza di aspetti importanti del mondo in cui viviamo e apre uno spiraglio su quello in cui molto probabilmente vivranno i nostri figli e, soprattutto, i nostri nipoti. Gli argomenti trattati, a volte complessi, sono presentati in una forma piana e comprensibile anche ai non addetti ai lavori; il testo è quindi rivolto a un pubblico ampio. In particolare, anche grazie alle ampie referenze bibliografiche, può essere utile per approfondimenti negli ultimi anni della scuola superiore.
Gianfranco Pacchioni
L’ultimo sapiens
Il Mulino, Bologna 2018
Pagine 214 euro 15,00
Recensione di Mario Guzzi