Il metodo sperimentale non consiste in una successione meccanica di operazioni concettuali e di tecniche operative, ma esige una messa in gioco della ragione nella sua interezza. L’autrice riferisce a questo riguardo la sua esperienza di docente di fisica al liceo scientifico, supportando il suo racconto con incisivi testi di alcuni grandi scienziati.
Il metodo conoscitivo in fisica ha come sua caratteristica l’esperimento. Si possono realizzare esperimenti per verificare una legge fisica, per introdurre un nuovo argomento e per scoprire come vanno le cose, per misurare una grandezza….
Perché spendere del tempo in laboratorio e come farlo rendere al meglio?
L’attività sperimentale è utile se migliora la comprensione degli studenti, se approfondisce la conoscenza per gli studenti per il docente. Non in tutti i casi e non in tutte le circostanze è utile: lo è quando la scelta tra farla o non farla si traduce in un incremento o meno di esperienza, cioè di approfondimento del nesso tra un particolare e il tutto.
La scelta degli esperimenti deve rispettare l’essenzialità: è inimmaginabile quanto i ragazzi abbiano bisogno di osservare, di vedere incarnato ciò che hanno studiato, ma bisogna anche educarli al fatto che la conoscenza in fisica procede con l’esercizio della ragione in tutte le sue sfaccettature. Dico sempre agli studenti che il pensiero va più lontano delle mani. Spesso è la matematica che chiarisce le idee riguardo a un fenomeno prima ancora della realizzazione di un esperimento per riprodurre certe condizioni.
Cito di seguito un brano tratto dal testo L’allievo come scienziato? di Rosalind Driver (1941-1997).
«La concezione empiristica della scienza afferma che le idee e le teorie scientifiche si ottengono per un processo di induzione. Chi conduce delle indagini, si tratti di alunni o di scienziati esperti, dovrebbe procedere attraverso una sequenza di processi organizzati gerarchicamente, a partire dall’osservazione di “fatti”. Sulla base di tali fatti si possono fare delle generalizzazioni e indurre delle ipotesi o delle teorie.
Tuttavia l’attuale filosofia della scienza sostiene che questa concezione è erronea in quanto le ipotesi o le teorie non si collegano in nessun modo deduttivo con i dati cosiddetti “oggettivi”, ma sono delle costruzioni, dei prodotti dell’immaginazione umana. Il loro collegamento con il mondo concreto si realizza attraverso il processo della verifica e dell’eventuale confutazione» [1]. E ancora della stessa autrice:
«L’osservazione non consiste in una registrazione passiva di un fenomeno come si trattasse di una immagine che viene prodotta da una macchina fotografica. Si tratta invece di un processo attivo col quale l’osservatore controlla le proprie percezioni confrontandole con le proprie aspettative […] Finché le osservazioni non servono a rispondere ad una domanda posta con chiarezza è possibile che i ragazzi non registrino accuratamente quel che vedono» [2].
Quindi, educare gli studenti all’osservazione significa educarli a usare la ragione intera, direi a mettere in gioco se stessi.
Mettere a fuoco una domanda: cosa voglio capire?
Il primo passo nel progettare un esperimento è la messa a fuoco di una domanda: cosa voglio capire?
Lo sperimentatore, anche se è un ragazzo di 16-17 anni, è immerso nell’oggetto e attirato da esso.
La dimensione sperimentale nelle scienze si dimostra metodo adeguato per un particolare oggetto della realtà naturale, si oppone all’inevitabile tendenza di proiettare le proprie idee sulla realtà o di fermarsi alle apparenze, abitua all’imprevisto e all’uso del buon senso: è una disposizione dell’animo che riguarda l’intero cammino di conoscenza in ambito scientifico.
L’attività di laboratorio è un potente strumento di conoscenza, ma non produce automaticamente conoscenza! Quindi l’attività deve essere curata e ordinata dall’insegnante che fa sorgere le domande e ne guida lo sviluppo perché conosce la meta.
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Paola Balzarotti
(Docente di Matematica e Fisica al Liceo Scientifico dell’Istituto Scolastico “Don Carlo Gnocchi” di Carate Brianza)
Indicazioni bibliografiche
[1] R. Driver, L’allievo come scienziato?, Zanichelli, Bologna 1988, p. 85.
[2] ibidem, pp. 16-20.