Docente di chimica organica presso l’Università del Piemonte Nord Orientale, il professor Luigi Panza ci aiuta a comprendere l’importanza della scoperta effettuata dagli ultimi Nobel per la chimica, una proteina, la gpf, in grado di emettere una luce verde fluorescente
Professor Panza, qual è la storia di questa curiosa proteina?
Questa proteina è stata inizialmente individuata in alcune meduse che Osamu Shimomura scoprì molti anni fa in Giappone. Da questi animali, gli Aequorea Victoria, egli si accorse che era possibile estrarre un liquido particolarmente luminescente. Si mise allora a studiare il funzionamento di tale fenomeno finché non giunse alla scoperta di due proteine:
La prima era una proteina bioluminescente, ossia emetteva una luce blu.
La seconda, la gfp, invece aveva la funzione di assorbire la luminosità della prima e, grazie a un fenomeno di fluorescenza, ne emetteva poi la luce tramutandola in colore verde. La prima cosa infatti che colpì l’attenzione di Shimomura fu proprio il bagliore verde emanato dagli animali, in seguito capì il ruolo della proteina gfp.
Come si sviluppò in seguito lo studio della proteina scoperta?
La proteina è stata poi sequenziata dal secondo dei vincitori di questo premio Nobel, Martin Chalfie, in collaborazione con un altro biochimco. I due scienziati sono riusciti a inserire il gene che codificava questa proteina all’interno di frammenti di catene di DNA, in una zona che si chiama “promoter” la quale dà il segnale per la produzione di proteine, la riproduzione del gene.
Chalfie è dunque riuscito a produrre delle proteine fluorescenti in altri organismi che avevano incorporata questo promoter.
Questo passaggio che cos’ha comportato per la scienza?
La novità non fu tanto nell’ottenimento della fluorescenza in sé, perché esistono, a livello biochimico, numerosissimi metodi per marcare con un oggetto fluorescente una proteina o altre componenti organiche, ma in questo modo si riusciva a ottenere una marcatura estremamente selettiva e controllata.
Ciò permise e tuttora permette di seguire in vivo il destino di svariata proteine all’interno di organismi più o meno complessi. Da qui ci sono numerosi studi in vari campi. Si può davvero dire che ne hanno fatte di tutti i colori, come quando crearono dei topi fluorescenti.
Che cos’è e a cosa serve, in natura, il fenomeno bioluminescenza?
La bioluminescenza è un fenomeno per il quale alcune proteine, in risposta a certi stimoli, ad esempio la variazione della concentrazione di calcio, danno una reazione chimica che emette della luce. Lo scopo può essere molteplice in natura, alcuni pesci marini, ad esempio, usano organi fluorescenti a mo’ di esche per attirare le loro prede. Questo è il primo esempio che mi viene in mente, ma per varie ragioni nel mondo animale sono parecchi i fenomeni di bioluminescenza.
Ma la gfp non è bioluminescente in sé. Questa proteina, come ho spiegato prima assorbe una luce blu e riemette una luce verde. Il fenomeno è leggermente diverso.
A quale processo scientifico è invece legata la premiazione di Roger Y. Tsien, il terzo vincitore del Nobel per la chimica?
Il terzo del gruppo di scienziati, capeggiato da Tsien, si è “divertito” a modificare la struttura di questa proteina elaborandone altri tipi che emettono luci di diverso colore. Ciò ha dato un contribuito alla comprensione del meccanismo per il quale funziona la proteina gfp, estendendone anche il campo di applicazioni. Ha dunque creato una vera e propria famiglia di proteine luminescenti. Utilissime ai fini di varie indagini scientifiche.
Quale gamma di applicazioni consente la proteina gfp?
Fondamentalmente queste proteine servono per andare a studiare il metabolismo di organismi viventi, dalla cellula all’organismo intero, dal ciclo cellulare alla comprensione di fenomeni biologici. Non si tratta solo di colorare un tessuto, ma di studiare i percorsi proteici in ambito citologico e metabolico. È usata anche per visualizzare tumori all’interno di cavie.
Cosa ne pensa, alla luce delle proteste effettuate in merito alle designazioni dei premi per la fisica, della scelta di questo trio di scienziati per il Nobel?
Certamente essi hanno dato un contributo importantissimo. Da chimico organico devo notare che non si tratta di vera e propria chimica, bensì di biochimica. Ma questo è oramai il meccanismo con cui, nella nostra materia, si assegnano i nobel: di anno in anno si preferisce un ambito specifico. Questa è divenuta la prassi.