Il discorso di Benedetto XVI alla Sessione Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze era atteso, ieri mattina, con inusuale attenzione. Le polemiche che hanno accompagnato in questi ultimi tempi la questione dell’evoluzionismo non hanno risparmiato il mondo cattolico. Come è noto hanno coinvolto importanti ecclesiastici, e hanno perfino chiamando in causa in diverse occasioni le parole del Papa. Sia da parte di chi guarda con sospetto le teorie di Darwin, come di chi vorrebbe una decisa accettazione della cosmovisione evolutiva anche in ambito teologico, ci si attendeva una qualche presa di posizione.
A una prima lettura sembrerebbe quasi che le parole di Benedetto XVI, nella loro brevità, non abbiamo voluto entrare nella polemica. Forse potranno essere utilizzate a scopo polemico da una o dall’altra parte, come spesso accade, ma senz’altro non sembra questa l’intenzione del discorso.
Un breve accenno ai suoi predecessori, Pio XII e Giovanni Paolo II, segna una delle idee centrali attorno alle quali si snoda l’intero discorso: non ci può essere nessuna opposizione tra la creazione, così come è compresa dalla fede, e l’evidenza delle scienze empiriche. Pronunciate di fronte ad alcuni dei più noti esperti nel campo dell’evoluzione dell’universo e della vita (Stephen Hawking, Christian de Duve, Yves Coppens o Luigi Cavalli-Sforza, tra altri) queste parole non sono senz’altro un luogo comune, ma vanno intese in senso forte: l’evoluzione, così come è oggi accettata, insegnata e discussa dalla comunità scientifica che l’Accademia rappresenta, non può destare nessuna paura alla teologia o alla fede cristiana. Altrettanto possiamo dire delle teorie sull’origine ed evoluzione dell’universo, e di ogni altra impresa scientifica. La Chiesa ringrazia la scienza “di questo mutuo arricchimento nella ricerca della verità e del benessere dell’umanità”, ha riaffermato il Papa alla fine del discorso con parole del suo predecessore.
Se questo è il trasfondo del discorso, il suo punto nodale va oltre, e cerca di costruire una strada attraverso la quale l’intelligenza della fede possa scoprire nelle evidenze della scienza una lettura trascendente che si apre al senso ultimo del reale. Benedetto XVI ha accennato a due importanti chiavi di comprensione. In primo luogo, la nozione di creazione, che non di rado viene intesa soltanto in relazione all’inizio di una realtà che dovrà poi avere un proprio sviluppo e storia. In questo modo la creazione viene ridotta a livello di ogni altra causa fisica o scientifica. In senso teologico, ricorda il Papa, creazione significa la continua relazione “fondante” che lega la creatura al Creatore, causa di ogni essere e di ogni divenire. La fede nel creatore in nessun modo rende superflua l’indagine sui meccanismi e sui processi evolutivi del mondo. Evidenzia invece come gli stessi processi evolutivi possano portarci a scoprire “la sapienza provvidente” del Creatore, che sostiene amorevolmente la loro esistenza.
L’altro punto può costituire l’inizio di tale strada. Nell’evoluzione del universo e della vita, il mondo ci appare come un “libro” (immagine usata tra l’altro da Galileo) in cui, malgrado gli elementi irrazionali e caotici, la ragione è capace di penetrare. In questo modo la scienza stessa scopre che questo libro “è leggibile”; esso ha senso, possiede una logica e perfino una “matematica intrinseca” che possiamo cogliere come ordine e come innegabile finalità. In questo compito scienza e filosofia si muovono insieme nella riflessione sul delicato equilibrio che struttura il mondo fisico, la vita e il suo sviluppo, per arrivare anche a ciò che è specifico della persona umana. In questo modo le scienze accrescono la comprensione del carattere unico del posto che l’umanità occupa nel mondo.