C’è un certo via vai in questi giorni nello spazio interplanetario che circonda la Terra: ci sono sonde che danno forfait, altre che approdano a nuovi lidi, altre che fanno un restyling.
Iniziamo dalla più lontana. Vicino al Polo Nord di Marte il robot Phoenix da qualche settimana non dà più segni di vita e gli scienziati della Nasa al Jet Propulsion Laboratory hanno ora deciso di interrompere la sua attività. Le apparecchiature robotizzate non riescono più a ricevere l’energia necessaria e nel gelido inverno marziano, con temperature inferiori ai 50 gradi sottozero, il braccio che scavava il suolo marziano resta immobilizzato e i laboratori che analizzavano i campioni di sabbia e roccia non possono più funzionare.
Non si tratta però di un fallimento, anzi: la sonda doveva restare attiva per tre mesi e invece ha superato i cinque, raccogliendo importanti informazioni anche inedite e mettendo a disposizione dei ricercatori indizi preziosi che aiuteranno a disegnare meglio l’ambiente del pianeta rosso e a ricostruire parte della sua storia geologica. Sarà deluso solo chi immaginava di trovare subito e in modo eclatante i segni di una presenza di vita; mostrando così di restare aggrappato a una visione un po’ magica della scienza e ignorando il paziente e accurato lavoro di analisi dei dati sperimentali che solo può produrre, nel tempo, dei risultati significativi.
L’esplorazione di Marte comunque non si ferma qui. L’anno prossimo sarà lanciata un’altra sonda, il Mars Science Laboratory, un enorme fuoristrada marziano alimentato da generatori a radioisotopi che percorrerà indisturbato l’accidentato territorio del pianeta e proseguirà la ricognizione iniziata da Phoenix.
Da Marte passiamo alla Luna, che da pochi giorni ospita il modulo Moon Impact Probe, sganciato dalla sonda Chandrayaan-1 che era entrata nell’orbita lunare il 4 novembre. Un successo per l’Agenzia spaziale indiana (Isro), che porta avanti il suo programma spaziale da oltre quarant’anni e si appresta a compiere un consistente balzo in avanti. L’allunaggio infatti non ha solo l’obiettivo trionfalistico di piantare la bandiera indiana nel mezzo di un cratere del polo Sud del nostro unico satellite: i circa 80 milioni di dollari previsti per finanziare la missione serviranno per mettere uno spettrometro di massa in condizioni ideali per studiare la composizione dell’atmosfera lunare e del suolo selenico, che verranno anche accuratamente ripresi da una speciale telecamera.
Tra i principali traguardi scientifici del Moon Impact Probe c’è la ricerca dell’isotopo elio-3, che si presume molto più abbondante sulla Luna rispetto alla Terra. L’importanza dell’elio-3 potrebbe rivelarsi decisiva per gli scenari energetici del futuro: le prospettive dell’energia da fusione nucleare contemplano infatti la possibilità che i reattori di prossima generazione non si basino più sulle reazioni di isotopi dell’idrogeno bensì di quelli dell’elio, che però non è presente in forma stabile sul nostro pianeta.
Infine, scendendo a più bassa quota, cioè a poco meno di 400 chilometri dalla Terra, troviamo la Stazione Spaziale Internazionale: una piattaforma orbitante abitata ormai da otto anni e frutto della collaborazione delle principali agenzie spaziali mondiali (Italia compresa). Una complessa struttura, visibile a occhio nudo, lunga 108 metri e larga 78, con un peso (terrestre) di circa 460 tonnellate e in movimento a 28 mila chilometri orari. La sua costruzione era stata interrotta dopo il disastro dello Shuttle Columbia nel 2003 ma i voli della navetta sono ripresi nel 2006 ed è dell’altro ieri un nuovo lancio dello Space Shuttle Endeavour con sette astronauti incaricati delle opere di ammodernamento e ristrutturazione della singolare abitazione. I lavori – che verranno sospesi solo per il pranzo del Thanksgiving, con il tradizionale tacchino consumato in orbita – prevedono l’allestimento di alcuni nuovi “locali”, in particolare bagni e cucine, per poter aumentare il numero dei residenti nell’insediamento orbitante e raggiungere nel prossimo giugno 2009 la popolazione di sei cosmonauti. È prevista anche l’installazione di un innovativo, anche se sgradevole a dirsi, sistema di riciclo per convertire urina in acqua potabile. Quello dell’Endeavour è uno degli ultimi voli dello Shuttle, che nel 2010 concluderà le sue fatiche per lasciare il posto ad altri modelli di veicolo spaziale in grado non solo di rifornire la Stazione Spaziale ma anche di riportare astronauti sulla Luna.
Due considerazioni vengono spontanee a commento di queste notizie.
La prima è che anche lo spazio extraterrestre sta diventando pluralistico e multietnico e la sua esplorazione vede ormai coinvolti diversi soggetti non solo scientificamente ma anche sul piano dell’organizzazione complessiva dell’impresa. Dando vita così a una varietà di soluzioni tecnologiche e di modelli gestionali; ma aprendo non pochi problemi di competitività e anche, in prospettiva, di legislazione interplanetaria.
Una seconda osservazione riguarda il ruolo della Luna, che torna ad occupare i primi posti nella lista delle priorità della agenzie spaziali. Le conoscenze accumulate circa il nostro satellite non sono poi così tante e i motivi di interesse per possibili nuove esplorazioni non mancano. E poi la Luna si presta come ottima location per moderni sistemi di osservazione astronomica e anche come campo base per ulteriori più impegnative missioni ancor più lontano.
Si capisce così la battuta di Bill Gerstenmaier, capo delle operation spaziali della Nasa, che ha dichiarato di aver programmato una notte di plenilunio per il lancio dell’Endeavour, come “perfetta analogia della fase di transizione in atto”.