Parlare di desertificazione, oggi in Italia, potrebbe sembrare uno dei tanti e futili argomenti che il mondo della cultura e della scienza tenta di somministrare a quella sempre più rara categoria di lavoratori che passa sotto la denominazione di agricoltori o contadini o fittavoli o coloni o conduttori di aziende rurali.



Certamente, nella comunicazione mediatica, si impongono argomenti ben più incalzanti, più incisivamente impressi nella memoria delle masse: sono l’inflazione, la recessione tecnica, le riforme della Scuola e dell’Università, il bisogno di occupazione e, alla fine, la paura del futuro.

Questa paura è dilatata oltre misura dalla conoscenza o dalla intuizione di una nostra reale appartenenza ad un sistema ben più complesso di quello del bel Paese, che comprende problematiche di considerevole peso attinenti l’intero Pianeta.



Sono soprattutto i cambiamenti climatici a tener desta l’apprensione degli esseri umani dei Paesi più sviluppati di fronte a qualsivoglia ipotesi di sviluppo sostenibile, mentre la popolazione delle aree più povere della Terra cresce ancora secondo una dinamica di tipo esponenziale.

Fino dalla scuola elementare sappiamo che il fattore determinante della vita sul Pianeta è il clima ed è altresí noto che, pur esplorando la straordinaria capacità dell’essere umano di studiare i processi in atto e di inventare sistemi e tecnologie per affrontarli e monitorarli, siamo ancora dipendenti dall’acqua che scende dal cielo e dai frutti che la terra produce.



In altre parole, abbiamo tutti la consapevolezza di essere assoggettati ai ritmi di crescita della natura, ma, forse, in maggioranza, riteniamo che tale dipendenza debba essere commisurata unicamente alle risorse finanziarie che “coprono” la nostra carta di credito.

L’equazione ricchezza = potere è difficilmente “smontabile” in un sistema a economia capitalista, quale è il nostro. Ma è proprio la realtà a ribaltare tale logica, realtà nella quale l’umanità sperimenta la propria inadeguatezza, accorgendosi, in modo quasi drammatico, della dipendenza strutturale, oggi, come migliaia di anni or sono, dall’aria che respiriamo, dal cibo che deriviamo dal suolo, dall’acqua che abbiamo a disposizione in misura sempre più modesta per garantire l’esistenza di tutti gli esseri viventi.

Ma c’è un positivo che avanza ed è un tentativo da parte dell’ONU di riunire intorno ad un unico tavolo di negoziazione politica e scientifica tutti i Paesi della Terra, che intendano incrementare il loro livello di responsabilità nei confronti dei fattori ambientali del Pianeta e desiderino attivare azioni progettuali consone alla natura dei luoghi in cui si trovano a vivere.

Questo tentativo, oggi strutturato in maniera significativa sotto il profilo formale, è identificabile, nell’ambito dello sviluppo sostenibile, attraverso l’espressione delle tre principali Convenzioni delle Nazioni Unite: i cambiamenti climatici, la biodiversità, la desertificazione.

In questo ultimo decennio il Laboratorio di Geografia dell’Università della Calabria si è occupato in particolare di desertificazione, senza, peraltro, dimenticare o tralasciare le profonde connessioni con i cambiamenti climatici in atto e con la perdita della biodiversità, causata, spesso, da attività antropiche prive di qualunque forma di rispetto per l’ambiente.

L’esperienza di partecipazione ad attività di ricerca ed a momenti congressuali in ogni parte del mondo ha destato l’esigenza di rendere note alla realtà umana più direttamente coinvolta in queste problematiche la portata e le conseguenze di una fenomenologia così complessa e così silenziosa nel suo manifestarsi.

I terreni fertili, che, nel lento mutare del tempo, si trasformano in aree sterili, rappresentano da un lato la minaccia conseguente all’uso dissennato del suolo rurale, dall’altro sono l’ennesimo sintomo riguardante la dipendenza dell’essere umano dai fattori naturali, che, se non vengono rispettati, restituiscono risposte negative alle aspettative degli agricoltori.

L’aridità è una naturale caratteristica climatica che interessa, con vari gradi di intensità, il 47% delle terre emerse del Pianeta, con punte che arrivano al 73% in Africa, mentre almeno un miliardo di persone nel mondo è minacciata dalla fame e dalla sete. Nell’ambito del Progetto DISMED è stato calcolato che circa il 30% del territorio italiano presenta caratteristiche tali da essere predisposto al rischio di desertificazione.

A fronte di una crescente domanda di risorse della terra, assistiamo, quasi impotenti, ad un processo di desertificazione, ormai piuttosto evidente nelle grandi isole e nelle regioni meridionali italiane, ma destinato ad intensificarsi qualora non vengano adottate delle misure idonee a contenere in modo deciso la progressiva perdita, quasi ovunque irreversibile, di sostanza organica del terreno o il degrado del suolo.

Da un lato è necessario far maturare nella cultura degli esseri umani un atteggiamento di profondo rispetto nei confronti della natura, compresa, ovviamente, quella umana. Dall’altro occorre che il mondo politico e istituzionale si sforzi di compiere degli investimenti urgenti per il mantenimento delle risorse primarie della Terra, d’intesa con lo spirito e le iniziative progettuali della Convenzione ONU per la lotta alla siccità e alla desertificazione.

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