I neuroni specchio (mirror neurons) sono una delle star scientifiche di questo 2008: almeno in libreria e nella divulgazione. Il loro singolare coinvolgimento in una quantità di esperienze quotidiane comuni a tutti, li rende intriganti e degni di considerazione e approfondimento.

Ma cosa sono i neuroni specchio? Scoperti casualmente nell’area premotoria F5 (e successivamente in una regione del lobo parietale posteriore connessa con F5) della corteccia cerebrale delle scimmie da laboratorio (Macaca nemestrina), questi scaricano (cioè producono impulsi elettrici) sia quando la scimmia compie un determinato atto motorio che comporti un’interazione effettore-oggetto sia quando essa si limita ad osservare un altro (scimmia o sperimentatore) compiere il medesimo atto. Questa duplice attivazione ci indica che i messaggi inviati dai neuroni visuo-motori (cioè quei neuroni che rispondono sia a stimoli visivi che a stimoli motori) che sono dotati di proprietà specchio sono gli stessi sia quando la scimmia interagisce con un determinato oggetto sia quando essa si limita ad osservare la stessa operazione compiuta da un altro. Questo fatto ci indica come per questa speciale classe di neuroni l’informazione di tipo sensoriale e quella di tipo motorio siano riconducibili ad un “formato” comune. L’attivazione dei neuroni specchio durante l’osservazione di un atto motorio, non seguito dall’effettiva esecuzione del medesimo atto da parte della scimmia osservatrice, rappresenta quindi l’automatica “evocazione interna” e potenziale di quello stesso atto motorio che la scimmia stessa compie quando interagisce con il medesimo oggetto.



Questa scoperta si inserisce in un più ampio quadro di revisione delle funzionalità delle aree della corteccia cerebrale (sia delle scimmie che umane), che ha messo in evidenza come una netta divisione tra le aree sensoriali (atte a codificare fenomeni sensoriali come quelli visivi, somatosensitivi e uditivi) e quelle motorie (atte cioè all’organizzazione dei movimenti), così come era stata ipotizzata in passato, non sia adatta a rappresentare efficacemente la complessità e la mutua correlazione vigente tra di esse. Queste aree non sono etichettabili solo come “sensitive pure” e “motorie pure”: è infatti a livello dell’area premotoria F5 della scimmia, che sono stati scoperti i cosiddetti “neuroni visuo-motori canonici”: essi si attivano cioè sia quando la scimmia interagisce con un oggetto sia quando si limita ad osservarlo. Questa duplice attivazione fornisce una conferma alla teoria delle affordances formulata da James Gibson circa cinquant’anni fa, secondo cui gli oggetti offrono all’osservatore delle possibilità di azione semplicemente presentando visivamente le proprie possibilità di presa/utilizzo, e configurandosi quindi come poli di atti virtuali. I neuroni visuo-motori di F5 però non codificano le singole affordances offerte da un oggetto, quanto piuttosto gli atti motori ad esse congruenti.



Ma i neuroni specchio possiedono delle proprietà ancora più interessanti: il loro specifico schema di attivazione ci indica infatti come essi permettano – a differenza di quelli visuo-motori canonici di F5 – una comprensione delle azioni degli altri, comprensione che è di natura preriflessiva ed immediata: il fatto che nella scimmia che osserva un determinato tipo d’atto si attivino gli stessi neuroni che scaricano quando è essa stessa a compiere quell’atto fornisce all’animale una comprensione dell’azione dell’altro che è caratterizzata da una forte pregnanza motoria interna. C’è chi, per descrivere efficacemente questo fenomeno, ha parlato infatti di “simulazione incarnata”. Bisogna però sottolineare che i neuroni specchio della scimmia non rispondono ad atti mimati o intransitivi (cioè privi di un correlato oggettuale).



Nelle scimmie inoltre i neuroni specchio codificano anche atti motori finalizzati ad uno scopo preciso (come “afferrare per portare alla bocca” o “afferrare per spostare”); sono poi stati scoperti anche i neuroni specchio audio-visivi, che scaricano cioè sia quando la scimmia osserva lo sperimentatore compiere un’operazione che produce un rumore (ad esempio rompere una nocciolina), sia quando essa ascolta il rumore causato dalla rottura della nocciolina stessa. Infine, sono stati scoperti i neuroni specchio “comunicativi”, quelli cioè che non solo risultano correlati all’esecuzione ed all’osservazione di azioni della bocca, ma anche all’osservazione di espressioni facciali comunicative compiute dallo sperimentatore.

La scoperta dei neuroni specchio nelle scimmie ha subito interrogato gli scienziati sull’esistenza di un sistema simile nell’uomo. Essi sono stati in effetti scoperti anche nella nostra specie, grazie a metodi di indagine dell’attività cerebrale non invasivi, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la stimolazione magnetica transcranica (TMS). I nostri neuroni specchio presentano alcune similarità rispetto a quelli delle scimmie: come la proprietà di poter codificare non solo singoli atti bensì intere catene d’atti, e la capacità di comprendere non solo il tipo di atto eseguito ma anche lo scopo per il quale quell’atto è compiuto. Esso presenta però alcune importanti differenze: nell’uomo infatti il sistema dei neuroni specchio appare più esteso di quello delle scimmie; inoltre essi si attivano anche alla vista di azioni mimate ed intransitive (cioè non dirette ad un correlato oggettuale). Sono stati osservati neuroni specchio legati alla codifica di azioni compiute da mano, bocca e anche piede.

Ulteriori studi sull’uomo hanno mostrato come essi siano coinvolti nel processo imitativo: non solo su quello che si basa su un substrato neuronale interpretabile come un “vocabolario interno di atti motori” già posseduto, ma anche nell’apprendimento di atti non conosciuti precedentemente. E la presenza di neuroni specchio nella parte posteriore dell’area di Broca (considerata l’omologo umano di F5), unitamente al fatto che questa area si attiva durante l’esecuzione di movimenti orofacciali, brachiomanuali ed orolaringei, ed a seguito di ulteriori esperimenti che hanno messo in evidenza come la lettura silenziosa di parole o frasi che descrivono azioni eseguite da effettori diversi come la mano, la bocca e il piede attivi settori della corteccia premotoria e motoria che controllano quelle stesse azioni, ha fornito una ulteriore conferma di quella teoria dell’evoluzione del linguaggio che prevede una interazione tra gestualità e fonazione allo scopo di stabilire una “piattaforma comunicativa comune”. Sarebbe infatti grazie alla mano ed ai suoi movimenti che potremmo comunicare al meglio con coloro con i quali interagiamo, grazie alla formazione di un “prerequisito di parità” evolutivamente ancestrale che avrebbe poi permesso lo sviluppo di un sistema di fonazione altamente complesso.

Un’altra importantissima scoperta che riguarda i neuroni specchio dell’uomo è la loro presenza a livello della regione anteriore dell’insula: questa regione cerebrale, responsabile della percezione olfattivo-gustativa, presenta connessioni con i centri viscerali profondi, scatenando in particolare reazioni di disgusto a seguito della percezione di odori o sapori sgradevoli. È stato scoperto che essa risulta collegata all’area visiva STS, implicata nella percezione dei volti; i neuroni specchio presenti in questa regione cerebrale scaricano quindi anche alla semplice vista delle reazioni di disgusto di volti osservati. Questa risposta è interpretata dagli scienziati come quella coloritura emotiva che ci permette di avere un’esperienza più profonda degli altri e di ciò che sta succedendo a coloro che ci circondano. Ecco dunque che i neuroni specchio si dimostrano essere co-responsabili della formazione di quella “piattaforma emotiva condivisa” che ci permette di essere empatici con gli altri, in un modo che, essendo mediato dai neuroni specchio, ci permette di vivere primariamente, in prima persona ed in maniera profonda le emozioni altrui, che vengono quindi in questo caso comprese come facenti parte del nostro stesso set emotivo.

Cosa si può concludere da questo discorso? Cosa ci indica la scoperta e l’importante ruolo che i neuroni specchio assumono nella scimmia, ma soprattutto nell’uomo? Essi ci indicano che siamo “ingabbiati” in una rete di rispecchiamento, gettati insieme ai nostri conspecifici in un “labirinto degli specchi” all’interno del quale non possiamo fare altro che “comprendere solo neuralmente”, “imitare solo neuralmente” ed essere “semplicemente neuralmente empatici”? Cioè che tutte le nostre peculiarità sono riducibili ad un mero e costringente schema neuronale? Le cose non sembrano stare in questi termini. Quello che i neuroni specchio ci dicono è piuttosto che noi siamo fatti per essere sociali e cooperativi: siamo dotati di un sistema neuronale che ci permette di fare esperienza degli altri in prima persona e che ci permette di avere una piattaforma empatica basilare per partecipare delle emozioni altrui. Siamo cioè biologicamente dotati di un substrato neuronale basale comune, grazie al quale possiamo comprendere immediatamente quello che fanno gli altri, possiamo imitarli (ma anche inibire l’imitazione), possiamo stabilire una connessione neuronale per una comunicazione “paritaria” e possiamo infine comprendere in termini di condivisione viscerale profonda le emozioni altrui. Sembra quindi che le nostre menti siano “costruite” per essere in relazione con gli altri, per essere relazionali secondo modalità sofisticate e profonde; siamo l’unica specie che ha sviluppato queste potenzialità a livelli così alti. I neuroni specchio ci indicano che nella coscienza del sé è sempre compreso un “tu”: l’uomo è in questo caso descrivibile con l’efficace “analogia della medaglia”, usata da Iacoboni: ogni uomo è una medaglia costituita da due facce, «una delle quali è il sé, [e] l’altra, in un gioco inevitabile di parole, l’altro».

Questi neuroni ci offrono inoltre nuovi spunti per una riflessione sulla valenza che l’etica e la morale hanno per l’uomo: la scoperta dei neuroni specchio implicati nel fenomeno empatico ci indicano che noi sembriamo essere dotati di una “morale biologica primaria”, una “morale prima della morale” (dal titolo di un saggio di Laura Boella) che ci qualifica come esseri tendenti per natura ad accorgersi degli altri, a prendersene cura e ad essere empatici. Può questo tradursi in una raffinata ma “costringente” forma di riduzionismo etico neuronale? Può cioè la scoperta dei neuroni specchio condurci a dedurre una definitiva determinazione biologica delle nostre facoltà etiche e morali? Sembra di no: infatti «condividere a livello visceromotorio lo stato emotivo di un altro è cosa (…) diversa dal provare un coinvolgimento empatico nei suoi confronti. (…) Ciò spesso accade, ma i due processi sono distinti, nel senso che il secondo implica il primo, non viceversa». Cioè la storia personale e la diversità intraspecifica sono elementi chiave, non meno importanti del substrato neuronale che condividiamo con gli altri. Infatti la nostra irriducibile peculiarità personale e la vastissima gamma di possibilità “inscritte nel nostro cervello”, «rendono impossibile, almeno allo stato attuale delle conoscenze, ricondurre anche un solo unico comportamento morale esclusivamente a fattori organici».