Mentre in Italia si rinvia la riforma delle superiori e si dibatte sui sistemi per valutare la preparazione degli studenti, negli Usa si tenta di recuperare il distacco che sembrava far svanire la leadership americana soprattutto in campo scientifico e tecnologico. Gli ultimi dati sono stati accolti con una certa soddisfazione, che tuttavia, ad un esame più attento, non sembra poi tanto giustificata.



Nei giorni scorsi la stampa Usa ha dato rilievo al rapporto periodico del NCES (Centro Nazionale di Statistica per l’Educazione) sull’apprendimento della matematica e delle scienze negli Stati Uniti in paragone col resto del mondo. Da un certo punto di vista, il rapporto non contiene molto di nuovo. In esami standardizzati, gli studenti americani riportano punteggi lievemente superiori alla media degli altri paesi nel campione, ma decisamente inferiori alle “superpotenze” del settore che si trovano quasi tutte in Asia (a partire da Hong Kong e Singapore). Tale svantaggio è già riscontrabile a nove anni di età, ma si allarga sostanzialmente nel corso della scuola media che è universalmente considerata uno degli anelli più deboli del sistema scolastico americano. L’attenzione dei giornali americani, però, si è concentrata sul fatto che i risultati assoluti degli studenti Usa sono migliorati (leggermente) dal 1995 al 2007, specialmente in matematica. In tale campo gli Stati Uniti hanno risalito la classifica e alcuni stati (per esempio, Massachussets e Minnesota) si sono portati a livelli “asiatici”, con grande soddisfazione dell’establishment pedagogico.



A proposito di pedagogisti, l’aspetto più interessante di questo tipo di statistiche non sta forse nei risultati in sé, ma piuttosto in quello che esse rivelano sulla mentalità che domina oggi il sistema scolastico americano. Essenzialmente, l’apprendimento della matematica e delle scienze naturali costituisce il criterio fondamentale con cui si misura il valore ed il successo di una scuola. Ciò si manifesta nella formulazione del curriculum, nei criteri di ammissioni alle scuole superiori e alle università, nelle discussioni di politica scolastica, nella distribuzione di fondi federali per l’educazione eccetera. Mentre solo una o due generazioni fa la discussione verteva sul “dualismo” fra materie umanistiche e scientifiche, oggi vige un consenso, non chiaramente formulato ma molto diffuso, che le conoscenze letterarie, storiche e linguistiche sono importanti e significative ma non altrettanto essenziali quanto quelle matematico-scientifiche.



Alla base di questo orientamento c’è innanzitutto la diffusa mentalità scientistica, che vede nella matematica e nelle scienze empiriche l’unica forma oggettiva e rigorosa di conoscenza. C’è anche la pressione del sistema economico, che richiede sempre di più personale tecnico qualificato. C’è poi una certa una preferenza da parte dei pedagogisti accademici, che amano le discipline formali come la matematica perché i risultati dell’insegnamento possono essere analizzati più facilmente, e si possono verificare “scientificamente” gli effetti delle teorie pedagogiche. Infine, c’è anche un effetto indiretto ma importante dell’ideologia relativista e multiculturalista che domina larghi settori del mondo accademico americano. Per sua natura, un curriculum umanistico richiede che si facciano delle scelte, che si attribuiscano delle priorità, che ci si metta d’accordo su cosa trasmettere, cioè su una tradizione. Ma se si è deciso a priori che è politicamente scorretto attribuire un valore superiore a una tradizione sopra le altre, diventa impossibile formulare un curriculum coerente, perlomeno dalle scuole medie in avanti. Questo problema invece non si pone per materie politicamente neutrali come la matematica o la biologia. L’esperienza americana però dimostra che di fatto senza una tradizione e` molto difficile insegnare persino la matematica o le scienze.

Malgrado enormi sforzi, infatti, non si è ancora riusciti ad eguagliare il successo dei sistemi scolastici asiatici, che è chiaramente dovuto anche a fattori culturali extra-matematici, come ad esempio l’etica Confuciana. Ma anche la storia della scienza europea dimostra che l’apprendimento (e a maggior ragione la creatività scientifica) fiorisce quando c’è un contesto culturale in cui la persona umana viene formata intera, non tagliata a pezzettini e poi analizzata quantitativamente dagli esperti di turno.

Persino l’insegnamento della matematica, la più astratta delle discipline, non può essere ridotta a un tecnicismo. Questa è la ragione per cui statistiche come quelle del NCES sono ultimamente abbastanza irrilevanti.