Alle soglie del quattrocentesimo anniversario delle osservazioni di Galileo può apparire ironico che nella comunità scientifica si sia riaperto, proprio in questi mesi, il dibattito sulla validità del Principio Copernicano.
Naturalmente non ci sfiora neanche il dubbio che non sia la Terra a ruotare intorno al Sole. Si tratta piuttosto di mettere alla prova la versione attuale di quel principio, secondo cui la nostra posizione nell’universo, così come oggi lo conosciamo, non avrebbe nulla di speciale. Tale assunzione è stata presa per buona da generazioni di cosmologi, ma in verità non ha mai ricevuto piena conferma dalle osservazioni.
L’attualità del dibattito, che vede tra gli altri come protagonista George Ellis della Cape Town University, sta nel fatto che un certo tipo di violazione del Principio Copernicano potrebbe aprire la strada a una nuova interpretazione di quello che appare come il grande enigma della fisica contemporanea: la cosiddeetta “dark energy”, l’energia oscura.
Osservando il cielo stellato non possiamo dire di avere un’impressione di uniformità. Se è vero che le stelle riempiono il cielo più o meno ovunque, la grande scia della Via Lattea è un chiaro segno di disuniformità. Proprio le osservazioni di Galileo mostrarono che la Via Lattea è dovuta a miliardi di stelle lontane distribuite in modo asimmetrico intorno a noi, in quella che oggi riconosciamo come la nostra galassia.
Ma poi, a partire dalle osservazioni di Hubble negli anni 1920 fino a oggi, ci siamo resi conto che la nostra galassia non è che una di miliardi di altre galassie sparpagliate per un universo in continua espansione, nel quale le distanze si misurano in miliardi di anni luce. E sia l’espansione che la distribuzione delle materia nell’universo ci appaiono grossomodo le stesse ovunque.
La versione moderna del Principio Copernicano, il cosiddetto Principio Cosmologico, afferma che su scala cosmica non vi sono punti di osservazione privilegiati. Il che implica due caratteristiche. La prima è l’isotropia: l’universo deve avere le stesse proprietà indipendentemente dalla direzione in cui lo osserviamo. Le osservazioni ci danno conferme estremamente precise di questo fatto. Non solo la distribuzione delle galassie, oggi mappata su volumi sempre più vasti, ma anche la straordinaria uniformità del fondo cosmico di microonde ci convincono che non c’è una direzione privilegiata attorno a noi.
La seconda è l’omogeneità: le proprietà dell’universo mediate su dimensioni abbastanza grandi si devono presentare pressoché le stesse ovunque. Questa caratteristica, però, è estremamente difficile da verificare con le osservazioni. Anche se oggi abbiamo mappe tridimensionali di regioni sempre più ampie dell’universo, non riusciamo ad avere misure molto accurate della distanza delle galassie lontane indipendenti dalla loro recessione cosmica. Per avere una verifica diretta occorrerebbe spostarsi di qualche miliardo di anni luce e osservare il panorama, oppure comunicare con qualche osservatore all’altro capo dell’universo… ma questo non è possibile.
Nonostante questa mancanza la cosmologia ha navigato in acque piuttosto tranquille fino alla fine degli anni ‘90, quando lo studio delle Supernovae lontane ha riservato una sorpresa. La luce di queste immani esplosioni stellari era troppo debole rispetto al previsto, il che poteva essere spiegato solo ammettendo che l’espansione cosmica da qualche miliardo di anni a questa parte avesse incominciato ad accelerare.
Per interpretare questo fatto nel contesto della relatività generale occorreva ammettere l’esistenza di una forma inedita di energia, la famosa “energia oscura”, la quale avrebbe cominciato a dominare il bilancio energetico nel recente passato cosmico. Il problema è che nessuno, a tutt’oggi, ha un’idea convincente di che cosa possa essere. Con tutta la loro fantasia e buona volontà i fisici hanno estratto dalla teoria quantistica valori della sua intensità che si discostano di 120 ordini di grandezza (1 seguito da 120 zeri!) dal valore osservato. È questo imbarazzo che spinge a rimettere in discussione idee fino a oggi considerate intoccabili come quella del Principio Cosmologico.
George Ellis e colleghi hanno fatto notare che l’attuale incertezza sulla distanza delle galassie lontane potrebbe lasciare spazio a un’interpretazione alternativa. La distribuzione della materia cosmica potrebbe essere isotropa, ma variare con la distanza da noi. In particolare noi potremmo trovarci all’interno di una regione relativamente vuota di materia, mentre a grande distanza la densità media dell’universo sarebbe più grande.
All’interno di questa sorta di bolla cosmica la forza frenante della gravità sarebbe più debole e l’espansione necessariamente più rapida, in accordo con quanto osservato nelle Supernovae lontane. In questa visione, l’accelerazione non sarebbe una proprietà “cosmica”, ma “locale” e non ci sarebbe alcun bisogno di invocare l’esistenza di una energia oscura per spiegare ciò che vediamo.
Come ha spiegato George Ellis, «l’energia oscura è una necessità se assumiamo che l’accelerazione delle Supernove è dovuta a una variazione del tasso di espansione dell’intero universo nel tempo. Ma è egualmente possibile, e non più radicale, pensare che essa sia dovuta a una variazione dell’espansione dell’universo nello spazio». Nei mesi scorsi sono stati pubblicati vari articoli specialistici con diverse proposte per verificare sperimentalmente questa possibilità, con osservazioni del fondo cosmico di microonde oppure di quasar lontani.
E se tutto ciò fosse vero? Poiché il fondo cosmico di microonde appare assai uniforme, se noi lo vediamo dall’interno dell’ipotetica regione a bassa densità, allora significa che noi ci troviamo molto vicino al centro. Questo è gravemente anti-Copernicano, e la sola proposta di un tale scenario qualche tempo fa avrebbe costituito un anatema per la comunità scientifica. Oggi invece è un’ipotesi, per quanto ardita, considerata interessante e apertamente dibattuta.
Certo è estremamente improbabile che noi ci veniamo a trovare proprio al centro di questo angolo particolare dell’universo. Ma l’improbabilità è da tempo di casa nella cosmologia. «Viviamo comunque in un universo improbabile» ha commentato George Ellis. «Possiamo decidere dove infilare l’improbabilità, ad esempio sostituendo il vuoto centrato intorno alla Terra con la dark energy, ma non possiamo togliere l’improbabilità».