Ci sono grandi aspettative nella comunità scientifica per il prossimo “anno darwiniano”, che concentra due anniversari: il bicentenario della nascita del naturalista scozzese e il centocinquantenario della pubblicazione della sua opera principale L’origine delle specie.
Per capire meglio di che aspettative si tratta, la rivista Nature ha coinvolto un gruppo eterogeneo di scienziati e commentatori scientifici ai quali ha chiesto di sintetizzare in poche battute il nocciolo delle loro attese. Tra gli interpellati ci sono stelle di prima grandezza nel firmamento della biologia contemporanea, come Niles Eldredge, proponente insieme allo scomparso Stephen J. Gould della teoria degli equilibri punteggiati, che ha dato una spallata al paradigma darwiniano della gradualità del processo evolutivo. Ma ci sono anche personaggi meno noti, secondo un accurato dosaggio redazionale, preoccupato essenzialmente di presentare il tutto in una forma politicamente corretta.
La considerazione dominante è l’auspicio di un rilancio del darwinismo, “minacciato” dai vari creazionismi più o meno scientifici. Peccato che per sostenere questa operazione molti degli intervistati siano indotti a liquidare sbrigativamente il problema dei rapporti tra scienza e religione con semplicistici inviti a tenere nettamente separati i due campi, secondo quello che sarebbe, per il biologo tedesco Ulrich Kutscera, l’imperativo filosofico dello stesso Darwin.
C’è comunque anche qualche indicazione non puramente difensiva. Ci sono ad esempio cenni alla necessità di una nuova teoria evolutiva, che riesca a spiegare l’evoluzione del fenotipo, cioè delle caratteristiche somatiche osservabili degli organismi viventi.
Come pure viene sottolineata l’esigenza di una nuova sintesi, che sappia tener conto dei diversi approcci disciplinari e dei notevoli risultati raggiunti in alcuni campi, per riformulare un quadro unitario più adeguato: è una performance, dice Eldredge, che a Darwin era riuscita grazie alle sue competenze in geologia, paleontologia, zoologia e botanica, ma che nessuno singolo scienziato oggi può pensare di replicare.
C’è, ancora, la preoccupazione che le nuove acquisizioni si riflettano a livello della scuola e della formazione universitaria, spesso impoverite e ridotte a riciclare schematismi superati e impermeabile ai tanti fermenti che animano il panorama della ricerca biologica. Col rischio di alimentare una visione ideologica dell’evoluzione.
Per fortuna ci sono anche contributi come quello di Mustafa Akyol, editorialista del Turkish Daily News, che invoca proprio, come esito degli anniversari darwiniani, una deideologizzazione del darwinismo. Akyol fa notare che, benché non manchino scienziati, anche ai massimi livelli, che vedono compatibile la loro esperienza religiosa con un’impostazione scientifica evoluzionistica, le loro posizioni sono poco conosciute e il grande pubblico continua a sentir parlare di evoluzione dai soliti paladini dell’ateismo, che spesso suggeriscono indebite derivazioni dalla scienza delle loro scelte filosofiche.
In ogni caso il dibattito è aperto: l’importante è che resti il più possibile “aperto”.