Lavora all’Istituto di Fisica del Plasma del Cnr, dove svolge ricerche avanzate sulla fusione nucleare che lo portano spesso a trasferirsi a Oxford presso il Joint European Torus per seguire da vicino un progetto internazionale del quale è responsabile. È Carlo Sozzi, che tra un viaggio e l’altro però, insieme agli amici dell’associazione Euresis della quale è vice-presidente, ha realizzato un altro progetto: la mostra Atmosphera, che al Meeting di Rimini sta affrontando l’onda d’urto di un numero impressionante di visitatori. L’abbiamo incontrato per parlare di questa esperienza e dell’approccio particolare col quale è stato affrontato il tema dei cambiamenti climatici.



Ci può spiegare la struttura e la finalità principale della mostra?

La mostra parte dall’esame dei dati di fatto, che spesso hanno anche avuto grande risonanza sulla stampa: un cambiamento è in atto del nostro clima. Ne illustra quindi le evidenze, l’entità, passa in rassegna le tecniche con le quali si può ricostruire la storia climatica del nostro pianeta e misurarlo nel presente. Vengono poi esaminati i vari fattori che contribuiscono a determinare il clima ed il modo complesso nel quale questi fattori interferiscono tra loro. Infine illustra il tentativo in atto di effettuare una previsione scientificamente fondata di quale potrà essere l’evoluzione del clima nel futuro.



A suo avviso qual è la sua originalità?

Com’è tipico nelle mostre dell’Associazione Euresis, viene affrontato un aspetto della realtà, osservandola sotto l’angolo particolare della conoscenza scientifica, ma compiendo un percorso che ha una “valenza umana”. Infatti, per studiare veramente un problema scientifico c’è bisogno sempre di un soggetto umano che procede attraverso lo strumento della scienza. Come può il pubblico valutare l’attendibilità dei dati che vengono diffusi dai media? In gran parte, i dati che circolano sulla letteratura specializzata sono scientificamente corretti – possiamo dire “certificati” – ma spesso si tratta di dati molto specifici, che occorre integrare in un quadro di insieme. La normale dinamica della ricerca scientifica, specie su argomenti così complessi, è quella di acquisire dei “pezzi” di conoscenza, comunicarli, discuterli nella comunità scientifica, rivederli, riflettere ed infine formulare una visione sintetica. È nelle modalità di divulgazione che talvolta intervengono interessi ideologici e forse anche di altro tipo; i dati scientifici – di per sé osservazioni specifiche, quindi pezzi di verità parziali! – vengono spacciati per la verità definitiva.



Gli scienziati che ne pensano?

Nell’intenzione degli scienziati, questi dati non hanno necessariamente pretesa di completezza o esaustività. Sono semplicemente destinati a dare un contributo ad un lungo e meditato processo di sedimentazione ed elaborazione. È successo anche di recente che, dalla pubblicazione sulla stampa scientifica specializzata di rilevazioni di semplici correlazioni, la stampa generalista ne traesse un motivo per “inchiodare l’uomo alle sue responsabilità” di inquinatore del pianeta. Non credo che esista una scorciatoia per evitare la disinformazione. Occorre semplicemente studiare a fondo i problemi, rendersi conto di cosa c’è in gioco e di quali sono le fonti attendibili.

Perché si dà per scontato che il cambiamento climatico sia una minaccia planetaria e che la colpa sia dell’attività umana?

È una domanda che mi sono posto anch’io preparando la mostra. Fermo restando che la conoscenza su questo argomento è in progresso, possiamo dire che c’è un lieve aumento della temperatura in atto, ed anche un aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera. È noto, tuttavia, che si tratta di un fenomeno storicamente ciclico, anche se è pur vero che non c’è stata nel recente passato una temperatura così elevata in valore assoluto e con un tale tasso di aumento. L’emissione di anidride carbonica è legata all’attività umana (anche se in termini quantitativi si tratta ancora di una frazione piccola del totale) e l’anidride carbonica in atmosfera è molto probabilmente correlata all’aumento della temperatura come si riscontra anche nella storia climatica passata.

Cosa possiamo dire con certezza?

Ora, passare da una correlazione ad un rapporto causale diretto non è corretto: il sistema climatico è estremamente complesso e intervengono molti fattori con tempi di reazione diversi; inoltre le variabili climatiche dei vari fattori del clima si influenzano reciprocamente. Più che certezze in questo campo si può dire che abbiamo indizi seri, cui attribuire il giusto peso. Per sintetizzare, il cambiamento climatico non è al momento così importante da un punto di vista quantitativo (ne sono accaduti molti altri nella storia dell’umanità) e il rapporto con le attività umana non va oltre l’osservazione di una probabile correlazione. Da questo a fare previsioni attendibili sul lungo periodo il passo è piuttosto lungo. Che queste previsioni abbiano poi un carattere catastrofico mi sembra addirittura inspiegabile sulla base delle conoscenze attuali.

Tra catastrofismo e negazionismo: c’è una via di mezzo oppure si tratta di cambiare prospettiva?

Entrambe le posizioni sono estremizzazioni, cioè tendono ad assolutizzare alcuni aspetti censurando la complessità e la ricchezza della realtà. Credo sia necessario ripensare la posizione culturale dell’uomo nei confronti dell’ambiente. L’uomo può abitare questo pianeta impiegandone le risorse, ma non ne è padrone. È come un’eredità che si è ricevuta e che si deve far fruttare avendone anche la massima cura: dall’uomo “sfruttatore” all’uomo “custode”. Solo da una posizione che non censura le esigenze dell’uomo si può serenamente affrontare anche il problema climatico o più in generale dell’uso delle risorse del pianeta.

L’atteggiamento più ragionevole: applicare il principio di precauzione o praticare la virtù della temperanza?

Il principio di precauzione rischia di essere persino deleterio, in quanto – nella situazione odierna – induce gli stati a ridurre il più rapidamente possibile le emissioni di anidride carbonica, trascurando le conseguenze che questo può avere, ad esempio sul piano economico. L’obiettivo di minimizzare l’impatto ambientale, nel lungo termine, è sicuramente sensato. È questo, infatti, l’atteggiamento dell’abitante discreto, non invasivo oltre una certa misura: così come fa il contadino che vuole trarre il giusto sostentamento dal suo terreno per il maggior tempo possibile, senza depauperarlo nel breve. È però forse avventato approntare una soluzione molto costosa con effetti negativi immediati e benefici climatici dubbi e comunque non riscontrabili se non nel futuro lontano. Se con temperanza intendiamo un atteggiamento che tutela l’uomo ed il pianeta in cui abita (non considerando l’uno il parassita dell’altro) traendone un ragionevole grado di benessere per un’esistenza dignitosa, direi che è senz’altro preferibile.

Qual è il trattato internazionale più importante? A cosa si ispira?

Il principale trattato è il Protocollo di Kyoto, ispirato appunto al principio di precauzione. Non essendo certi che l’anidride carbonica immessa dall’uomo non è pericolosa, si cerca di ridurla comunque. Una cosa che non appare condivisibile è l’introduzione di una sorta di mercato internazionale dell’anidride carbonica, che potrebbe caratterizzarsi in senso speculativo. Un paese ricco può non ridurre di un grammo la quantità di anidride carbonica che immette nell’atmosfera e potrebbe comprare “azioni di anidride carbonica” da altri Paesi con un grado inferiore di sviluppo industriale. Tra l’altro favorendo così il divario economico. L’obiettivo di una Terra più vivibile per tutti sarebbe quindi frustrato.

Come descriverebbe in sintesi il Suo approccio?

Con una frase di Papa Benedetto XVI che abbiamo messo in conclusione della mostra: “Non possiamo usare ed abusare del mondo e della materia come di semplice materiale del nostro fare e volere; … dobbiamo considerare la creazione come un dono affidatoci non per la distruzione, ma perché diventi il giardino di Dio e così un giardino dell’uomo.” L’uomo deve guadagnare la coscienza di essere custode di questo pianeta e di averlo ricevuto in eredità, come un patrimonio per se stesso e i suoi discendenti.