Sta per essere pubblicato in Italia il libro “La cifra della vita” di Gregory Katz, docente di Bioetica e innovazione terapeutica all’Essec di Parigi, che al Meeting di Rimini ha anticipato i contenuti e le provocazioni contenute nel volume, tutto centrato sull’interrogativo circa la reale natura della vita, e critico verso tanto riduzionismo scientista e tanta prepotenza ideologica che minaccia la dignità e la libertà dell’uomo. Ilsussidiario.net l’ha incontrato e gli ha rivolto alcune domande.
Professor Katz, qual è il cuore del suo lavoro di ricerca?
Da quando si è scoperto che nel DNA è inscritto un codice, di fatto la vita umana è stata materializzata in un substrato chimico. Ma è un substrato programmato: c’è un programma genetico; e se c’è un programma, sorgono tre domande. La prima: qual è l’origine del programma? Se c’è un programma, c’è anche un programmatore? Se nel DNA c’è una scrittura, chi sta all’origine di questa scrittura e di questo messaggio genetico? La seconda domanda: siamo tutti predeterminati dal nostro DNA? Se la vita ci programma, dove sta la nostra libertà? Terza domanda: se la vita è programmata, è possibile riprogrammarla? È possibile selezionare gli embrioni attraverso test genetici? È possibile modificare questi embrioni geneticamente? È possibile clonare l’umano? Ecco i tre gruppi di domande che mi interessano.
Quando ci interroghiamo sul programmatore, siamo ancora nella fisica o nella metafisica?
In un dibattito tra un biologo e un filosofo, il biologo chiede: “viviamo in un mondo materiale; se c’è un programmatore, deve aver utilizzato mezzi materiali per agire sulla realtà. Lei, filosofo, deve trovarmi prove materiali, strumenti, attraverso i quali il programmatore ha agito sul mondo”. Il filosofo risponde di no, perché il programmatore non è materiale, è spirituale. Ma il mondo è materiale. Allora qual è l’interfaccia? Una delle risposte si trova nella Genesi: si dice che è il linguaggio. Per creare la vita, Dio ha parlato. Ma il linguaggio non è materiale. Non si può “verificare” un linguaggio, non si può fare il test del linguaggio in un laboratorio. Lo scienziato dirà: quel linguaggio è aria, suono; il linguaggio non esiste.
Il problema sta nel fatto che nel XX secolo è stato identificato un linguaggio al cuore della vita, il codice genetico. Ora che esiste la traccia scientifica di un linguaggio nella materia, si può rispondere di sì a quella domanda: esiste nella materia un linguaggio. È una conferma della Bibbia? Non lo so. Fatto sta che esiste uno stretto legame tra delle strutture chimiche, il DNA, e delle strutture semantiche basate su un codice. C’è un vero mistero in tutto questo. Ma resta il fatto che in ogni cellula vivente c’è un programma basato su un codice: è un fatto scientifico. Questo è nuovo, totalmente nuovo.
Un elemento di confronto, oggi assai problematico, tra la scienza e la conoscenza filosofica della realtà e dell’uomo, è stato il concetto di natura. Quale nozione di ragione è la più adeguata per cogliere la profondità della realtà, la sua “natura” e il suo significato?
L’idea di linguaggio risponde a questa domanda. Di fatto, lei e io per parlare utilizziamo un linguaggio. Questo linguaggio è frutto della ragione: la ragione le dice in che ordine mettere le parole una dopo l’altra. Anche se non parlo la stessa lingua sua, parliamo lingue latine con la stessa grammatica; si tratta di una grammatica comune. E se si guarda tutta la diversità delle lingue parlate su questo pianeta Terra, si constata che c’è una grammatica universale all’origine di tutte le lingue, prima della babelizzazione. Questa struttura elementare si chiama protolinguaggio. Nei secoli e millenni le lingue hanno subito variazioni; c’è stata un’arborescenza, un’evoluzione analoga a quella delle specie viventi. Si dice che è stata la ragione umana ad evolvere e che le lingue hanno mutato di conseguenza e sono diventate più complesse. I meccanismi evolutivi sono gli stessi ipotizzati da Darwin, che era egli stesso stupito nel vedere che le specie viventi evolvevano.
L’ipotesi che formulo nel libro, allora, è che all’origine delle lingue esista un protolinguaggio universale che non è iscritto in una lingua primitiva che parlava l’uomo preistorico ma ben è iscritto ben prima, nel protolinguaggio genetico.
È un’ipotesi in grado di superare le obiezioni che lei stesso faceva poc’anzi?
Si dirà: il DNA sono delle molecole chimiche; noi tuttavia parliamo un linguaggio che non è chimico. Sì, è vero. Ma ogni linguaggio ha un modo d’espressione diverso. I ciechi, i sordi e i muti parlano con un codice diverso, con un altro substrato, altri significati. Lì un codice chimico potrebbe funzionare molto bene, come un nuovo codice “braille”. Questa scoperta è stata oggetto di grande critica, una critica antropomorfica: si dice che l’uomo proietti la sua ragione nella natura e visto che siamo esseri di linguaggio, faremmo come se la natura stessa potesse darsi un linguaggio. Questo è falso. Il codice genetico esisteva prima che l’essere umano lo pensasse. Cronologicamente c’è stato prima il codice genetico che funzionava come un linguaggio. E lo sappiamo perché da oltre 3,5 miliardi di anni questo codice genetico non è variato. Funzionava con una grammatica, con una sintassi e una semantica. Non è dunque l’uomo che proietta la sua realtà su questo codice, è il codice che progressivamente ha portato l’uomo a utilizzare un linguaggio, che è un erede molto lontano del linguaggio primitivo e universale iscritto nel nostro DNA.
Il suo libro affronta anche i temi più scottanti che riguardano il rapporto tra scienza e etica. Molte scelte che oggi vengono proposte invocando le libertà individuali (aborto, eutanasia, etc.) hanno giustificazioni scientifiche?
Il dibattito non è più etico, è politico. Siamo, in effetti, in una democrazia e si chiede a ciascun cittadino cosa desidera fare. Se si chiede se uno preferisce un bambino in buona o in cattiva salute, ognuno dirà: lo voglio in buona salute. Per questo si può utilizzare un test genetico, selezionare gli embrioni e impiantare solo quelli con alto quoziente genetico: si è così quasi sicuri di avere un bambino senza malattie gravi. Non si sa se il bambino sarà perfetto, perché la perfezione è un concetto molto soggettivo, ma sarà un bambino nella norma. Tutte le famiglie sono disponibili a farlo, anche quelle che considerano l’aborto un male, perché si parla di valore positivo, di vita e di vita in buona salute. E oggi la qualità di vita è un valore fondamentale.
Che dire dell’aborto?
Il dibattito sull’aborto, secondo me, è un dibattito del XX secolo. Oggi siamo ampiamente oltre quel dibattito (anche se in Italia si tratta ancora di un dibattito di attualità): la frontiera non è più l’aborto, è l’eugenismo. E l’eugenismo è l’aborto “alla velocità della luce”. Non si eviteranno solamente le nascite anomale: si sceglieranno le nascite di interesse. Negli anni ‘70, le mamme dicevano: un bambino “quando” lo voglio; e si aveva il voto sul contraccettivo, la pillola abortiva. Poi alla fine degli anni ‘70, un bambino “se” lo voglio; e lì abbiamo avuto il dibattito sulle leggi dell’aborto. Ora, negli anni 2000, un altro slogan ancora: un bambino “come” lo voglio. Siamo entrati in una logica normativa. Non si tratta solo di sapere se la vita è sacra o no. Ciò che importa non è vivere, ma come si vive. Si tratta di qualità di vita. Ma si parla anche di quantità di vita. Con il DNA si può quantificare la qualità di vita. Si potrà sapere quantitativamente se avrete mutazioni genetiche che vi faranno avere malattie gravi o meno, se queste malattie gravi costeranno tanto per il trattamento, e se da un punto di vista economico la società è disponibile a pagare questi trattamenti. Ma visto che la società non ha più soldi, che lo Stato non ha più soldi, chiederà ai genitori di utilizzare i test genetici per non dover pagare questi trattamenti costosi. Dunque il cittadino sarà vittima di una pressione politica: lo Stato dirà “o utilizzate i test genetici e le fecondazioni in vitro per evitare di avere bambini anormali, oppure non si rimborserà il trattamento”. E sarà la vostra assicurazione a dover pagare. E i genitori spesso non hanno i mezzi per avere un’assicurazione. Saranno progressivamente obbligati, economicamente e politicamente, ad utilizzare i test genetici. Siamo ben oltre l’aborto! Con la scienza abbiamo creato un’offerta e stimolato una domanda. Non è più una questione morale. È una questione economica. E questa questione economica è delegata ad ogni coppia. Siamo in una democrazia economica. Ciascuno decide anche su questi temi come per un bene di consumo.
Un’ultima domanda sul titolo di questo Meeting, “O protagonisti o nessuno”: cosa le suggerisce?
Mi sembra di poter dire che tutto quello che è stato vietato nel 1998, è stato autorizzato nel 2008. Stiamo assistendo alla fine dell’uomo come lo abbiamo tradizionalmente conosciuto fino ad ora: anche se si ha l’impressione di essere protagonisti, si rimane passivi. Ed è vero, che ci piaccia o no. Stiamo arrivando a un’era post umanista. L’uomo non è più il centro del mondo, non è lui che valuta: l’uomo diventa egli stesso valutato da altri uomini, diventa oggetto di selezioni che non si fanno più sulla base di criteri di razza e di colore della pelle, ma sulla qualità e sulla qualità di vita. Mi sembra che sempre più si offra una perfezione dei mezzi e una confusione dei fini.