Gli uragani, ovvero il nome con cui nel bacino dell’Atlantico sono indicati i cicloni tropicali, sono violentissime tempeste che si formano al di sopra di mari molto caldi, dai quali sottraggono il calore e l’umidità necessari per alimentare nubi che portano piogge torrenziali e venti che talvolta raggiungono anche i 300 chilometri orari. La loro forza distruttiva si esprime attraverso venti che soffiano a più di 115 chilometri orari, piogge torrenziali con accumuli anche oltre 1000 mm (più di quanto piova mediamente in un anno intero a Milano, Roma o Napoli) in un singolo giorno, e ondate di marea (storm surge) che seppelliscono sotto l’acqua interi tratti di coste, con innalzamento del livello del mare dell’ordine di qualche metro. La stagione degli uragani, il periodo cioè in cui normalmente si formano, nell’Atlantico si apre con il mese di giugno e si chiude il 30 novembre, ma i mesi in cui sono più frequenti sono sicuramente settembre e ottobre. Negli ultimi anni, benchè la frequenza degli uragani in generale non sia aumentata, è cresciuta la loro violenza: sono diventati cioè più numerosi gli uragani di categoria 4 o 5 (in una scala di intensità che va da 1 a 5).
Il motivo? Quasi sicuramente la temperatura superficiale dell’Oceano: dalla metà degli anni ‘90 l’Atlantico Settentrionale in effetti si è improvvisamente riscaldato di circa 0,6° C rispetto al ventennio precedente, seguendo un’oscillazione periodica delle temperature marine superficiali per cui in tale bacino si alternano periodi caldi e freddi della durata di 20-30 anni. Poiché un mare caldo è in grado di trasferire in atmosfera maggiori quantità di calore e umidità rispetto a un mare freddo, anche queste grandi tempeste hanno trovato in effetti un surplus di “carburante” da trasformare in nubi, piogge e vento.
Se le coste degli Stati Uniti negli ultimi anni sono state devastate come mai prima nella storia però probabilmente c’è anche lo zampino del Global Warming, il surriscaldamento dell’atmosfera in atto nel nostro Pianeta: non si spiegherebbe altrimenti perché durante l’ultimo decennio il numero di uragani di categoria 4 o 5 sia aumentato di circa il 60% rispetto all’ultimo periodo con Atlantico “caldo”, quello compreso tra il 1944 e il 1969. Insomma un’atmosfera via via più calda, grazie alle maggiori quantità di energia in essa contenuta, costituisce un terreno più fertile per la maturazione di tempeste particolarmente violente. Inoltre i cambiamenti climatici in atto fanno sì che stia mutando anche la circolazione atmosferica in tutto il bacino dell’Atlantico: mentre un tempo gli uragani si muovevano lungo la fascia tropicale da est verso ovest, per poi risalire però molto spesso verso nord prima ancora di raggiungere i Caraibi o il Nord America, negli ultimi anni con frequenza sempre più alta proseguono il loro movimento verso ponente fino a raggiungere il continente americano. Un’anomalia che si spiega con una maggiore presenza della fascia di alta pressione sub-tropicale nell’Atlantico: come un muro l’alta pressione difatti impedisce alle tempeste di deviare verso nord, e le costringe invece e proseguire il loro cammino attraverso la fascia tropicale. Del resto mai come nei primi anni di questo millennio gli USA sono stati investiti da violenti e devastanti uragani, fra cui Isabel nel 2003, Ivan e Jeanne nel 2004, Katrina, Rita e Wilma nel 2005, Gustav e Ike quest’anno.
In Italia invece, nonostante i mari che bagnano la Penisola siano di anno in anno sempre più caldi, non corriamo il rischio di imbatterci in cicloni tropicali: il bacino del Mediterraneo difatti è troppo piccolo e gli uragani in formazione si troverebbero a sbattere quasi subito contro il continente, dove verrebbero privati del calore e dell’umidità a loro necessari, e per di più l’atmosfera turbolenta che caratterizza le latitudini temperate ostacola già in partenza la formazione dei cicloni tropicali.