Quest’anno si prevede l’arrivo dell’influenza “australiana”, la quale, quanto pare, sarà particolarmente virulenta. Abbiamo chiesto al professor Fabrizio Pregliasco, medico infettivologo spesso intervistato dai media e voce autorevole nel campo della prevenzione internazionale alle malattie virali, di spiegarci in che cosa consisterà questa “nuova” epidemia.



Professor Pregliasco come mai si dice che quest’anno l’influenza sarà più cattiva del solito?

Sostanzialmente perché ci sono tre nuovi virus che vedono “scoperta” la maggior parte della popolazione. Questo renderà molti più soggetti suscettibili al virus, vi saranno molti più casi. Non si tratterà proprio una “pandemia”, ma sarà comunque una stagione particolarmente intensa. È una diffusione alla quale non siamo più abituati perché negli ultimi tre o quattro anni circolavano virus che erano sempre gli stessi, si mescolavano fra di loro e quindi gran parte della popolazione se la scampava. Gli ultimi anni siamo stati su valori di 2 milioni, 2 milioni e mezzo, di casi, quest’anno ci sono le condizioni potenziali per arrivare a cinque milioni, che è comunque da considerarsi una stagione “media”. Niente di “mostruoso” dal punto di vista dell’intensità complessiva però occorrerà tener sotto controllo tutti gli effetti di danno per i soggetti più a rischio. Per gli adulti si tratterà per lo più di fastidi, mentre per i soggetti più fragili, e in particolarmente gli anziani con problemi cardiaci o respiratori, anche di possibilità di decesso o, comunque, complicanze non da poco.



Lei ha parlato di “tre virus”, come mai allora lo chiamano il virus influenzale?

Perché spesso si parla, soprattutto per quel che accedeva nel recente passato, di un virus unico. Negli ultimi anni però, invece di un unico protagonista ci sono più virus che si susseguono o comunque coesistono. In questo caso ci sono due virus di tipo A, di origine australiana, e uno invece di origine americana, proveniente dalla Florida. Di questi non sappiamo quale sarà il prevalente. Ci aspettiamo l’H3N2, ma questo è un fatto più teorico che altro. Però saranno purtroppo attivi tutti e tre, rendendo dunque la stagione più “vivace” del solito.



Ma il vaccino che verrà distribuito sarà comunque unico. Comprenderà i tre ceppi virali?

Certamente. Ormai esiste un sistema efficientissimo. Si tratta di , la rete organizzata dall’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, che permette di predire quali saranno i virus per l’annata. In effetti quello che sta succedendo in Australia ci conferma adesso che ci saranno i ceppi che attendevamo e che abbiamo fatto in modo che fossero previsti nel vaccino. Alla rete mondiale dell’OMS aderiscono ben 250 laboratori in tutto il mondo e quindi dal confronto dei risultati ottenuti, dall’analisi di laboratorio dei casi sospetti, si arriva a queste precise definizioni.

Sul Corriere della Sera è uscito un dibattito, non del tutto nuovo a dire il vero, sul tema “omeopatia/medicina tradizionale”. Come si declina questo discorso nel caso dell’influenza?

È un discorso abbastanza importante perché l’influenza si caratterizza come una malattia trasversale che offre tantissimi casi di studio e quindi offre l’analisi su molti soggetti che provano soluzioni diverse. Ciò comporta anche un rilievo economico non indifferente, in termini quantitativi, rispetto alla tipologie di approccio che si sperimentano. Personalmente io abbraccio la medicina tradizionale e avanzo spesso i miei dubbi nei confronti dell’efficacia omeopatica. Questo perché spesso l’evidenza dei risultati di quasi tutti i trattamenti omeopatici non compete minimamente con quella che vanta invece lo studio farmacologico. Nelle mia esperienza personale ritengo, anche se non si tratta strettamente di omeopatia, che sia l’echinacea, un’erba medica, ad ottenere spesso dei risultati piuttosto evidenti di protezione antinfettiva e antivirale. Fra tutti gli approcci “alternativi” dunque potrei suggerire questo. Per il resto bisogna aver chiaro un concetto: ossia che per l’influenza, e per quasi tutte le affezioni virali, ci sono solo pochissimi antivirali specifici, oltretutto con formazioni di resistenze, un po’ come per gli antibiotici. Quindi la miglior terapia è quella del vaccino. Poi ci sono farmaci che sono solamente sintomatici, utilissimi, ma solo per ridurre l’impatto del fastidio. La stessa aspirina riduce solo l’intensità dei sintomi. Molti poi si improvvisano terapie particolari e di varia natura, se si trovano bene così, buon per loro.

Quali saranno i sintomi di questa influenza?

Sempre gli stessi. La vera influenza si riconosce per tre caratteristiche: febbre alta con esordio brusco, dolori muscolari, articolari e sintomi respiratori in particolare tosse molto secca. Se non ci sono queste tre caratteristiche e un soggetto si sente male accusando sintomi differenti è probabile che sia affetto da altri virus “parainfluenzali”. L’impatto complessivo sulla popolazione di questi virus paralleli è legato anche a queste forme, anche se volgarmente si dice “mi sono fatto l’influenza”.

Quindi è sbagliato pensare, come spesso avviene, che l’influenza colpisca o a livello respiratorio o intestinale?

Certo, quella intestinale non è vera influenza. Si tratta, per lo più di coronavirus o enterovirus, i quali hanno sì una via di trasmissione simile, ma non sono la stessa cosa. La vera influenza è però quella che preoccupa di più a livello medico, perché causa complicanze maggiori. La stagione invernale complessivamente costringe a letto circa una decina di milioni di casi, la maggior parte per pochi giorni. Questa confusione fra malattie stagionali e influenza può aggravare il pregiudizio negativo che si ha nei confronti dei vaccini. Perché è logico che un soggetto vaccinato si possa ammalare per altri virus, come un banale raffreddore, ad esempio, ma eviterà quasi sicuramente le complicazioni che l’influenza vera e propria potrebbe arrecargli.