È affascinante, e in qualche modo stupefacente, che le moderne tecnologie della biologia molecolare affiancate alle più tradizionali metodologie dello studio dei fossili possano cominciare a dare delle risposte ad una delle domande fondamentali che l’uomo si pone : “da dove veniamo”. L’analisi dell’architettura del DNA ha rivelato che l’informazione in esso contenuta è veicolata dal modo in cui sono disposte, in diverse sequenze di lunghezza variabile, le quattro molecole contraddistinte dalle lettere dell’“alfabeto della vita” A,T,C,G. L’analisi di tale architettura ha rivelato che, in un quadro di sostanziale costanza dei messaggi (sequenze) scritti con queste lettere,esistono variazioni (polimorfismi) che cambiano una di queste in posizioni omologhe nei diversi DNA. Tecnicamente queste variazioni sono definite SNPs (Single Nucleotide Polymorphisms). Analizzando questi SNPs in DNA diversi è poi possibile tracciare le relazioni esistenti tra questi ultimi: i rapporti di parentela tra i diversi individui, le relazioni tra le diverse popolazioni ecc. In altre parole quanto più sono condivisi molti SNPs tanto più stretti sono i vincoli tra le persone da cui il DNA esaminato proviene. Dal punto di vista numerico basti pensare che l’intero codice genetico è composto di 3 miliardi di lettere e che uno SNPs può essere trovato ogni mille di queste ultime. Disponiamo , quindi, di circa 3 milioni di “marcatori” con cui caratterizzare i DNA dei singoli individui. Un altro aspetto che ci permette di capire l’approccio sperimentale e di valutarne le conclusioni è dato dal fatto che anche il cromosoma Y , caratterizzante gli individui di sesso maschile, contiene SNPs, come pure il DNA dei mitocondri. Il primo fatto ci dice che, ovviamente, possiamo usare ciò per stabilire relazioni di vicinanza ovvero di distanza genetica tra soggetti di sesso maschile. La questione legata ai mitocondri è invece per certi aspetti più interessante. Questi ultimi, infatti, sono delle strutture intracellulari specializzate in funzioni legate alla “respirazione” della cellula e sono caratterizzate dall’interessante proprietà di essere le uniche strutture cellulari al di fuori del nucleo ad avere un proprio DNA che si replica autonomamente. Inoltre, essi sono contenuti nell’oocita e non negli spermatozoi: i mitocondri presenti in tutte le nostre cellule derivano solamente dal sesso femminile, ossia dalle madri. Tutto ciò rende lo studio del DNA mitocondriale e dei suoi SNPs assolutamente importante per tracciare la storia dell’origine del genere umano e seguire i suoi flussi migratori.



Cosa ci hanno indicato questi studi? Paragonando i profili di questi SNPs in individui di diverse popolazioni di diverse parti del mondo e combinando questi dati con quelli ottenuti da reperti fossili, i ricercatori hanno potuto stabilire che il genere umano si è diffuso nel mondo attraverso una serie di migrazioni che sono originate da una singola località vicino all’attuale Addis Ababa in Etiopia e che questo è accaduto all’incirca 100.000 anni fa. Nessun elemento in nostro possesso contraddice, quindi, l’ipotesi di una nostra origine da una singola Eva africana, conclusione di una qualche suggestione e di grande interesse. L’origine dell’uomo da un singolo avvenimento trova d’altra parte un possibile riscontro in un ambito ancora più ampio e speculativo che è quello sull’origine della vita.



Senza entrare troppo in tecnicismi, ma invitando il lettore ad approfondire questo concetto, è noto che due mattoni della materia vivente, gli amminoacidi e i carboidrati, quando vengono colpiti da luce polarizzata la deviano a destra (forma R) o a sinistra (forma L). In altre parole esistono due possibili configurazioni per queste molecole. Producendo in laboratorio per sintesi queste due famiglie di molecole si generano entrambe le forme (racemo). Al contrario, in natura , in tutti i viventi gli amminoacidi hanno solo la forma L e i carboidrati biologicamente rilevanti solo la forma R. Questo porterebbe a concludere che la vita ha avuto origine da un singolo, unico evento.



È facile immaginare quante e quali conseguenze queste considerazioni possano avere, specialmente in tempi in cui, come riporta nel numero del 25 settembre la seguitissima e autorevole rivista Nature, il direttore dell’educazione della Britain’s Royal Society , Michael Reiss, è stato costretto a dimettersi in seguito a certi suoi commenti su alcuni aspetti della teoria del “creazionismo” che lo avevano fatto ritenere sostenitore di quest’ultima e con ciò incompatibile con l’incarico ricoperto.